PERICOLO ISIS

Assodata l’impossibilità di difendere mezzo mondo dagli attentati, la questione della sicurezza assume contorni drammatici. Come impedire ai terroristi di filtrare tra le maglie del sistema di un arduo controllo globale? Come individuare i neo jihadisti arruolati dal Califfato nero e non ancora noti ai servizi segreti, che potrebbero espatriare come semplici turisti? Come scoprire i giovani europei convertiti al fondamentalismo islamico, pronti a colpire nei rispettivi Paesi? L’episodio della fabbrica di gas nell’Isére segnala un altro aspetto della pericolosità incontrollabile dell’Isis che anche in assenza di un piano con più elementi impegnati si è servito di un “lupo solitario”, evidentemente plagiato e assoldato per la causa jihadista. Dopo i tragici episodi in Francia (vittima per la seconda volta dell’Isis), Tunisia, Kuwait e Somalia, chi potrà garantire l’incolumità dei turisti e dei musulmani moderati?

La strategia, oramai evidente, è di diffondere il terrore, di dimostrare che il mondo intero è esposto alla sanguinosa violenza di attentatori pronti a morire per compiere stragi raccapriccianti. Nel caso della Tunisia (chiuse ottanta moschee accusate di incitare alla violenza), che conta sul turismo come risorsa economica principale, il risultato del massacro, di là dall’efferatezza dell’azione, è la crisi del Paese, che sarà disertato dal turismo internazionale e vedrà in forse il processo di democratizzazione intrapreso, ma che, peggio, si esporrà all’ipoteca dell’Isis, che trova terreno fertile nel disagio sociale e nella disoccupazione, nella povertà, oltre a contare sul maggior numero di combattenti per al-Baghdadi.

Intanto un colpo letale ha subito il prodotto interno lordo della Tunisia, a cui contribuisce il turismo per il sette percento. Il dato delle presenze italiane nel Paese è anche più significativo e fa registrare un calo di circa il cinquanta percento. Si spera che il terrorismo non colpisca altri luoghi frequentati da europei, né altri Paesi finora risparmiati dagli attentati ma la speranza non basta. E’ evidente che il lavoro di intelligence e la protezione di siti sensibili (ma di quanti su migliaia e migliaia?) non è detto che coprano il livello di rischio svelato in questi giorni dalla barbarie subita in Africa e in Francia e la comunità internazionale, sconcertata dall’avanzata dell’Isis, è in forte ritardo nel decidere tempi e modi per sconfiggere il terrorismo.

Chi se ne intende per competenze settoriali sottolinea la non casualità della coincidenza degli attentati con il Ramadan. L’obiettivo è quello di imporre il fondamentalismo islamico nell’intero arco del Mediterraneo e di conquistare aree non ancora sotto il suo dominio. L’attacco alla moschea sciita nel Kuwait ha obbedito a un altro obiettivo dei suniti del Califfato nero, che si propone di annientare gli sciiti. Non a caso gli attentati sono avvenuti di venerdì, giorno sacro del Ramadan, scelto dall’Isis per sfidare l’Occidente e quelli che definisce apostati. Significativa la rivendicazione dell’attentato in Tunisia: un “soldato” (proprio così, soldato) del califfato ha attaccato le tane della fornicazione, del vizio e dell’apostasia. Forse è fuorviante perché il vero risultato cercato dall’Isis è la crisi del paese colpito e la sua conquista al fondamentalismo.

C’è soluzione pacifica alla violenza jihadista? Il mondo occidentale si interroga e per il momento non sembra avere risposte ma è certo che il pericolo di attentati non si neutralizza con l’attività dei servizi segreti né con l’impiego di militari a presidio dei presunti siti sensibili.


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