DIRE COSE DI SINISTRA
In tema di post elezioni aumentano di tono le polemiche in casa Pd e il tema centrale è sempre la guerra esplicita e sotterranea dell’ opposizione alla leadership di Renzi. Il Pd ha perso milioni di voti, accusa la minoranza interna di Fassina, Cuperlo, Speranza, Bersani. La sinistra esterna, quindi Sel, i fuoriusciti Civati e Cofferati, traggono forza per opporsi alla maggioranza dalle sconfitte in Liguria e in Veneto, l’una risultato della vendicativa lista di disturbo di Pastorino e della candidatura non condivisa della Paita, indagata per l’alluvione di Genova, l’altra per l’imprevista inconsistenza elettorale della renziana Moretti, surclassata dal leghista Zaia. Non è ancora resa dei conti ma poco ci manca. La risposta a caldo di Renzi alle accuse ricalca la prassi consolidata di non mollare e di sottovalutare il dissenso interno al Pd. Quanto fiato ha questo determinismo spinto? Non molto se non valuta con molta attenzione la crescita esponenziale di Salvini e il successo della scalata Cinquestelle alle stanze del potere, l’influenza in crescendo delle minoranze sulle scelte che ritengono estranee alla sinistra. Sullo sfondo emergono in l’Italia segnali di ripresa che sommati all’efficientismo trainante del governo lasciano spazi angusti alle critiche dei democratici messi in quarantena dal segretario. Il conflitto in corso, questo è incontestabile, finisce per logorare dissidenti e renziani e apre varchi impensabili un anno fa alla crescita della destra leghista non meno che dei grillini. Salvini e i Cinquestelle hanno mostrato di capire l’importanza strategica del porta a porta, abbandonato dal Pd e sbaglia Renzi se pensa di compensare il deficit di attenzione per i problemi della gente privilegiando le intese con il mondo dell’imprenditoria, alzando barricate di contrasto con il mondo del lavoro e delle sue rappresentanze sindacali. (nella foto Renzi)
NAPOLI? ALLORA SI PUO’
L’aspetto solare di Partenope, gran signora del Sud, si vede dalla luminosità che al tempo del sole nascente tinge d’oro il profilo del Vesuvio, logo universalmente noto di una città che al via di Giugno si offre agghindata con bouganvilee in esplosione primaverile, inerpicate su muri imbiancati a calce che esaltano il rosso e l’arancione dei fiori. I navigatori del week end s’incrociano con barche d’ogni misura e valore nelle rotte che puntano alle perle del golfo, la Capri dei vip, l’Ischia evergreen, l’intima Procida e tingono con il bianco delle scie l’azzurro del mare quieto. Una nave con il pieno di crocieristi entra in porto al molo Beverello, in fermento per il va e vieni di aliscafi e traghetti che imbarcano folle di gitanti del mordi e fuggi e di turisti assetati di sole e di mondanità mediterranea. S’impenna il sole e punta allo Zenit, illumina le colline del Vomero e di Posillipo che incombono sul lungomare con il verde risparmiato dalla cementificazione delle mani sulla città raccontata da Rosi. La Napoli dell’ospitalità esulta: alberghi con il tutto esaurito, ristoranti, pizzerie e paninoteche affollate. La città antica – dei decumani, di chiese, chiostri, monumenti, vicoli da fotografare, dell’accoglienza, di sonorità musicali coinvolgenti – l’intero smisurato centro storico, parla le lingue del mondo. Rispondono la musica emessa dagli stereo dei “bassi” ad alto livello di decibel, le esercitazioni sovrapposte di trombe, violini e voci liriche degli allievi del Conservatorio di San Pietro a Majella. Allora si può: la città nell’accogliere un numero eccezionalmente alto di visitatori s’interroga sulle opportunità del futuro e prende lezione dalla colpevole esclusione dal grande circuito del turismo nazionale e internazionale subita per troppo tempo. Al bar nei luoghi istituzionali si accendono le dispute sull’attualità di questi giorni particolari. Intrecciano ipotesi sul nebuloso futuro del Napoli calcio e valutazioni sul voto che consegna il ruolo di governatore a De Luca, giudicato profeta nella sua patria salernitana ma poco consapevole della complessità napoletana.
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