Caos preelettorale

Per riflessi sulla politica nazionale, non è circoscritto alla Campania il caso dei candidati alla presidenza della regione che imbarcano nelle rispettive liste nomi, come definirli? Sgradevoli, indigeribili, impresentabili? Le perplessità degli elettori salgono di tono per alleanze che negli anni dell’identità di sinistra del Pci avrebbero innescato esplosioni vulcaniche, seguite a tambur battente da esecrazioni, processi brevi con sentenze altrettanto rapide ed espulsioni.

Esaminiamo il patto di non belligeranza, o peggio di unità d’intenti elettoralistici sancito da De Luca con Ciriaco de Mita (proprio lui, non un nipote con lo stesso nome): in tempi di trasparenza della sinistra, lo scandalo di questa alleanza blasfema avrebbe costretto alle dimissioni De Luca per iniziativa del partito comunista, mentre per De Mita la Dc avrebbe coniato definizioni del tipo “mossa geniale”, “strategia raffinata”, eccetera. De Luca, per nulla stupito dell’indignazione provocata, riconosce l’asprezza dei toni tenuti in passato nei confronti del nemico politico di Nusco, ma ritorce l’accusa nei confronti di quanti, in passato, avrebbero stipulato accordi con l’immortale Ciriaco, tenuto evidentemente fuori dalla campagna di rottamazione di Renzi. Insomma c’è un patto elettorale De Luca-De Mita e non si ha notizia di veementi reprimenda dei vertici del Pd.

Il caso sollecita una riflessione sulla salute precaria di quel che rimane della sinistra storica: ben poco se si mettono in fila le origini democristiane dello stesso Renzi e quote non secondarie del suo esecutivo. Da parte sua il sindaco di Nusco, forte di un curriculum ricchissimo di incarichi nazionali nella Dc e nelle istituzioni, ma soprattutto di astuzia machiavellica, non si avvale di prudente diplomazia per spiegare la mossa vincente dell’alleanza con De Luca e anzi sente di potersi permettere il proclama, riferito dal quotidiano la Repubblica “Il mio compito è recuperare la grande storia democristiana”. Come? Rompendo l’intesa con il centrodestra di Caldoro e firmando in nome di Ncd un patto elettorale con il Pd (partito democratico?) che che piaccia o no ai vertici del partito. C’è altro? C’è. Nelle liste di sostegno a De Luca campeggiano nomi di destra, di indagati, di candidati arrestati. A Casal di Principe, territorio di camorra, al fianco di Renato Natale, sindaco anticamorra, si colloca l’omonimo Enrico Maria Natale, suo sfidante di destra. Pulizia nelle liste pro Caldoro? Neanche a pensarci.

Nella lista di Forza Italia capeggiata da Alessandra Mussolini (!) c’è, solo per citare un caso, Antonio Agostino Ambrosio, giudicato non candidabile dal tribunale di Nola, in quanto sindaco di San Giuseppe Vesuviano, sciolto due volte per infiltrazioni camorristiche. Nelle dieci liste di appoggio a De Luca, sono stati ammessi esponenti di destra, personaggi di recente agli arresti domiciliari, esempi di nepotismo, ex berlusconiani , ex di De Gregorio, mogli o mariti di uomini e donne inseriti nelle nove liste del centro destra. L’elenco di transfughi, dall’una e dall’altra parte è lungo e conferma che i partiti sono distanti anni luce dal rappresentare i cittadini, cioè gli elettori, mentre alimenta il sospetto di una democristianità di ritorno, a partire dall’alleanza di governo Pd-Ncd, dal dismesso patto del Nazareno, che di tanto in tanto affiora come possibilità di riedizione; da alcune scelte antisindacali del governo Renzi, dalla sua sintonia con le imprese piuttosto che con i lavoratori; dal letargo che impedisce di incidere sui grandi patrimoni per far quadrare il bilancio a favore delle povertà, dalla conferma di acquisto degli f35 che cancellato rimetterebbe in sesto le casse di alcuni ministeri; dal finanziamento privilegiato alle scuole religiose, da eccessi di autoritarismo poco incline a somigliare alla democrazia partecipata. Il caso de Mita, considerata la sua riconosciuta scaltrezza politica, non nasce dunque senza motivo in questo stato volutamente confusionale della politica dominante che non riesce a dire qualcosa di sinistra.

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