ATTENTI A QUEI DUE / IL NEO RENZIANO SANTORO & IL GRILLINO TRAVAGLIO, DAGLI SCOOP ALLE GUERRE SOCIETARE. E ALLE VELINE

Cosa succede tra i due fratelli-coltelli Michele Santoro e Marco Travaglio? Che fine fa il sodalizio tra le due star dopo la svolta super renziana dell’anchor man de noantri e il grillismo spinto della penna più griffata del Belpaese? L’interrogativo sorge spontaneo, direbbe qualcuno, soprattutto dopo la rocambolesca puntata di “Italia”, il mega format ideato da Zerostudio’s, il team santoriano, ora al terzo parto in tre mesi, in attesa del quarto, annunciato come autentico gaudium magnum dal Vate di Salerno. Una puntata anti Grillo allo stato puro, con il vaffanight al vicepresidente della Camera Luigi Di Maio che 24 ore prima dà buca e viene rimpiazzato in corner con il ribelle Federico Pizzarotti fiondato da Parma. Travaglio, dal canto suo, ha il suo da fare per fronteggiare la fronda anti Grillo-Raggi nel Fatto, schierata con il trio d’attacco Lillo-Padellaro-Gomez.

Partiamo dagli affari. Ossia dalle società in campo e dagli interessi incrociati. Che avevano trovato una fresca materializzazione proprio in sedi & redazioni. In autunno il trasferimento: le truppe di Travaglio si spostano armai e bagagli in una elegante palazzina del Celio “di proprietà di un ente religioso”, come dettaglia il mensile sui media Prima Comunicazione: “nell’ex cappella – viene precisato – Michele Santoro allestirà la redazione di Servizio Pubblico (si diventata casa Italia, ndr), mentre nella casetta in giardino ci sarà spazio per un ristorante bio aperto al pubblico e per uno spazio da destinare a eventi culturali”.

 

UN CUORE, DUE CAPANNE E MOLTE AZIONI

Colleghi, amici, coinquilini e anche soci, i due. Rapporti suggellati nel tempo attraverso reciproche manifestazioni di stima & scambi azionari. Così succede, ad esempio, che la creatura di Michele e della sua compagna, Sanja Podgayski, ossia Zerostudio’s, sia praticamente per metà anche figlia del Fatto made in Travaglio, che detiene il 47 per cento delle quote.

Lorenzo Fazio. Nel montaggio di apertura Michele Santoro e Marco Travaglio

Lorenzo Fazio. Nel montaggio di apertura Michele Santoro e Marco Travaglio

Coppie di fatto e quote di scambio. Così nella pancia del Fatto c’è un 7 per cento di azioni targate Santoro-Podgayski, fetta che sembrava destinata a lievitare, fino all’estate scorsa, cioè prima delle avvisaglie della crisi, prodotta dall’illuminazione di Michele sulla via di Renzi-Damasco e il conseguente SI al referendum. Commenta un redattore del quotidiano: “adesso la situazione è nel guado. Santoro era intenzionato ad aumentare la sua partecipazione azionaria, capace quindi di fronteggiare la progressiva diminuzione delle quote di altri, invece adesso tutto salta. O sembra saltare. Forse è una commedia delle parti, una sceneggiata dove uno fa il finto renziano per produrre per mamma Rai che paga e l’altro fa l’anti Renzi per occupare lo spazio e dare le carte”.

Sceneggiata o no, gli altri soci sono in fermento. Quello più significativo sotto il profilo editoriale, Chiarelettere, deteneva il 16 per cento delle quote e ha intenzione – almeno stando alle dichiarazioni del suo storico numero uno, Lorenzo Fazio – di ridurre la sua fetta, soprattutto per via della nascita di Paper First, la neo editrice partorita dal Fatto, firma di punta lo stesso Travaglio, of course; ma in grado di sedurre altri autori fino ad oggi di pretta scuderia Chiarelettere. “Il nostro ruolo si è esaurito, la nostra presenza nel Fatto non è più primaria”, ha ammesso Fazio ad Italia Oggi..

Ma anche gli altri azionisti non stanno a guardare, e soprattutto attendono – come in una partita a scacchi – di vedere le prossime mosse santoriane. L’ex toga Bruno Tinti ha già ridotto la sua partecipazione che aveva superato l’8 per cento e ora è in stand by: forse i suoi “fondi” sulla giustizia si ridurranno in misura proporzionale. L’editore Franco Aliberti si è ridimensionato dal suo 12 per cento e attende news. Intenzionata a non metterci più euro Edima, sigla capeggiata da un altro scarparo eccellente (il numero uno resta Diego Della Valle, secondo la colorita etichetta affibbiatagli da Cesare Romiti), Enrico Paniccià. Ovviamente fermo sulle sue posizioni (azionarie) l’ex direttore Antonio Padellaro, deciso a marcare il suo territorio pentastellato a metà (quello anti Raggi-Grillo).

 

IL VERBO DI MATTEO SULLA VIA DI MICHELE

Bruno Tinti

Bruno Tinti

Autunnali i primi dilemmi che germogliano nell’animo e nella mente dell’autore – agli esordi – della mitica Samarcanda. Agli ansiosi cronisti che vanno in pellegrinaggio da lui confida: “sono eretico. Sconcertato. E dubbioso”. E aggiunge: “non ho ancora deciso cosa votare il 4 dicembre, ma voglio spostare l’attenzione sul ‘dopo’”.

E fu subito luce. In una chilometrica intervista concessa al Foglio, i messaggi si fanno meno criptici, più liquidi: “per me ormai è indubitabile, il Movimento cinque stelle è destra. Destra pura”. Scolpito nella sua neo certezza, ecco un altro vaticinio: “la sopravvivenza della sinistra dipende da Renzi. E’ l’unico in campo che riesce a dare qualche calcio al pallone. Se cade Renzi cade la sinistra in questo paese”.

E nella stessa intervista per le colonne erette da Giuliano Ferrara arriva il tackle scivolato sulle caviglie del socio-Travaglio, a proposito della storica di Marco a Silvio Berlusconi che per i sondaggisti valse al Cav un buon 1 per cento al voto. Vuota il sacco e l’animo Michele: “Berlusconi era così teso che all’inizio non era nemmeno efficace. Gli feci da massaggiatore. Poi divenne pimpante. Tutto è precipitato nel confronto con Travaglio”. Prosegue l’amarcord: “prima Berlusconi era stato contenuto, tenuto nel recinto. Con il pezzo di Marco ci fu la svolta. Io feci un errore tecnico, quello che compie ogni sera Luca Semprini a Politics: mi misi da parte. Lasciai la scena a Travaglio, convinto che il match si decidesse tra loro due. Con me la faccenda avrebbe preso un’altra forma. Ci sarei andato diversamente, avrei scherzato, avrei alleggerito, sarebbe continuata una schermaglia minore e Berlusconi non avrebbe potuto avere quel lunghissimo e stucchevole monologo che tutti ricordano”.

Ma eccoci alle tre grandi (e fresche) fatiche di Michele, a bordo di quel dirigibile Italia che, da perfetto timoniere, guida con mano sicura nei perigliosi eteri delle Nuove Comunicazioni. Aria ben diversa da quella, ammuffita e sparagnina, di casa Cairo, per le antenne de La 7, dove pure s’era acquartierato (“se gli passo Robinù? Mi chiede di mandarlo gratis e magari gli devo spedire anche un pacco di salami a Natale”). San Michele, comunque, non bada ai soldi (nonostante in Rai dicano che il suo dirigibile costa un occhio della testa e palate di milioni) e ci rimette pure di tasca sua: “Io schierato contro il NO per fare un favore a Renzi e tornare in Rai? Macchè. Non sono tornato in Rai, ho solo venduto un programma chiavi in mano. Non vedo quale sia questo tornaconto sterminato. Ci ho rimesso 30 mila euro. Tutto fatturato. I grillini possono venire a controllare”.

Ma ecco il prezioso tesoro di San Michele, l’arcangelo che per il bene del popolo edita e produce.

Selvaggia Lucarelli

Selvaggia Lucarelli

Partiamo dalla puntata fresca fresca, come una spigola pescata nel suo golfo, quello di Salerno. Stavolta cefali e vongole cresciute tra le acque di Comacchio, oppure le ormai rare folaghe che svolazzano sulle acque lagunari verso Venezia. I “topos” d’ Italia che riesce a coniugare il delitto dei genitori ferraresi ammazzati da figlio e amico con la crisi della pesca e della caccia. Fino ai gas nei maxi bidoni di Chioggia, i migranti e i tramonti rossi mozzafiato.

Ma prima era bianco neve, e tragedia di Rigopiano. Con la bionda inviata speciale che inforcati microfono e occhialoni neri in romanesco apostrofa un protettore civile: “ma pecchè stì anziani nun li portate via d’imperio?”. Tresecola l’interpellato, indeciso se traslocarli a Imperia o tra le vestigia romane: “Sì d’impero, d’impero…”, abbozza. La gatta delle nevi vola poi in una casa ormai ‘sgarrupata’: “Ma qua ce so dee crepe!”, esplora davanti ai quasi assiderati inquilini. E’ il giornalismo, bellezze.

Come l’intervista da Pulitzer al sindaco di Farindola, incoronato sul campo da re Michele: lui, che ha che ha chiuso gli occhi sull’albergo killer , parla di “Lavoratori e vittime del dovere”.

 

DA PICARRA A FICONE. PARDON, A BRIATORE

Vere ciliegine sulla torta le demenzialità. Prima una decina di minuti da un filmato dei gruppi-giovani che talent Michele vuol scovare e valorizzare: tali “Peels” o roba simile che neanche un tivvù privata del più sgarrupato hinterland delle periferie del sesto mondo oserebbe mandare in onda. Ma i venti minuti finali spettano al tandem Ficarra e Picone, pubblicizzato cinque giorni prima da Quelli che il Calcio targato Savino, e adesso passato a bordo del dirigibile santoriano, con la sua Ora Legale, pellicola horror dell’anno; e poi a discutere di onestà & giustizia come tre buoni amici al bar…

Gian Antonio Stella

Gian Antonio Stella

A segnare le storie della nostra tivvù era stata comunque la prima puntata, andata in onda il 5 ottobre e così dipinta da Aldo Grasso sul Corsera: “Italia è parso un programma nostalgico, autoreferenziale, moralista. Chiamare una trasmissione con il nome di un dirigibile che non è più tornato non è di buon auspicio, anche perchè Santoro è uno che torna sempre”.

Ma chi era il Vate che in quella puntata profondeva boccali di Verità (tipo “il peso dell’Italia sono i poveri, che non producono reddito”)? Il modello per tutti i rampanti trumpisti, il primo che ha votato SI al referendum di Renzi-Santoro dai suoi paradisi off shore e, selfizzandolo (e youtubizzandolo) lo ha inviato al popolo bue: Flavio Briatore. Che appena sfiorato dalle ultime novità sui business dei Casinò emerse dal processo Caccia che si celebra a Milano (il procuratore capo di Torino ammazzato con un’autobomba quasi quarant’anni fa perchè aveva ficcato il naso nei riciclaggi a Campione d’Italia e non solo) s’è visto fiondare in prima serata (e per tutta l’estenuante durata del programma) da zar Michele. Per concedere il bis, giorni dopo, in prima pagina su Sette, con un’imperdibile intervista a tutto campo firmata da un’altra star della carta stampata, Gian Antonio Stella, al quale mister Billionarie confida: “Le bische? Ma ero un ragazzo, dai! Se uno sbaglia si ravvede. Ho sempre ammesso d’aver sbagliato. Quarant’anni fa! Poi, invece di fare il delinquente, ho scelto di lavorare. E ho lavorato duro”. E poi fiumi d’inchiostro per dipingere la sua indelebile amicizia con il neo inquilino della Casa Bianca…

Torniamo a Michele. L’altro personaggio clou della prima puntata santoriana di ottobre è Selvaggia Lucarelli, che – spiega Grasso – s’è scervellata “a farci riflettere sui social. Capirai!”.

 

UNA FAUNA DAVVERO SELVAGGIA

Beatrice Borromeo

Beatrice Borromeo

Ma il meglio di sé, la bella Selvaggia riesce a tirarlo fuori sulle colonne del Fatto. Dove è una diventata una columnist. E anche una fondista (non tra le nevi), con la griffe “coatti dentro”.

Da bere, anzi tracannare d’un fiato, i suoi pezzi. Ecco qualche perla da un mitico ritratto di Maurizio Costanzo, “il nonno sadico”, di metà novembre, secondo il copione ormai standard: ouverture in prima, taglio basso, e tre quarti pagina dentro.

Su Barbara D’Urso pennella, “ci vanno solo i parenti di un morto schiattato da poco e con contenziosi ereditari aperti o reduci da qualche reality con almeno una lotta nel fango con fuoriuscita di tetta destra all’attivo”. Iperrealismo di sinistra?

Tutto da ingurgitare, ghiande comprese, il resto. A base di “l’attore che schifa la tv”, “convincere i vip a farsi sfruculiare e sfanculare per un’ora buona”, “Costanzo sfancula i suoi ospiti” (per chi non abbia capito), “le sue meravigliose scoattate”, il “tojese i Giuda dalle palle” e annessi, “questo pensa de cojonamme”. Stile Guardian.

Da una velina all’altra, bypassado il toccante colonnino Cosa resterà di Benedicata Boccoli – ricordate le stupende gemelline bionde lanciate da Gianni Boncompagni? – eccoci alle robe serie. Passiamo alla Politica, con la p maiuscola. E alla Costituzione, sana e bella. Per la penna di

Veronica Gentili

Veronica Gentili

Veronica Gentili, altra star della prima, che così si descrive sul suo profilino Facebook: “Sono Veronica, sono romana, sono un’attrice”. Ma non coatta, anzi, perchè “mi sono diplomata all’Accademia Nazionale dell’Arte Drammatica Silvio D’Amico (dell’autrice tutte le maiuscole, ndr) e da allora mi avventuro nella selva oscura di teatro, cinema e televisione, senza mai dimenticare un taccuino invisibile su cui annotare tutto ciò che meriti attenzione”. Uscita dalle selve oscure popolate dai lupi cattivi, “ho fatto della letteratura e della psicoanalisi i miei antidoti ad ogni male, terreno e non”. Boh. E purtroppo aggiunge: “vivo nel mio tempo, ne sono sedotta e ne ho paura”. Ma cappuccetto rosso sa quale strada, pur impervia, intraprendere: “sono convinta che l’arte abbia un andamento circolare. Intrisa di Occidente e allopatia. Inquieta e pagliaccia. Coesistono in me Francesco Totti e Virginia Woolf. Ho recentemente aperto un blog in cui parlo della politica che vedono i miei occhi. Tutto il resto è silenzio”. L’Anais-Ainis del Fatto.

Finale col botto. Ricordate la bella e nobile cronista romana Beatrice Borromeo, inviata super speciale di Anno Zero della premiata azienda Santoro? Bene, ora è inviata, altrettanto speciale, per il Fatto, esperta di economia).Tra le ultime spedizioni quella nelle giungle napoletana. Eccola, penna ed elmetto, nel Bronx di Secondigliano. Una paginata al cardiopalma: “Io violentata a 15 anni dal boss Quello ci spara e siamo soli”, il titolo.

Giorni fa in un un altro Bronx, quello palazzi verdi di Caivano, dove i bimbi stuprati vengono gettati dalle finestre dopo l’uso, ha cominciato le sue riprese Walter Veltroni, impegnato in un docufilm dall’inequivocabile titolo, Indizi di felicità. Dopo il teleshow con Insinna, ora in arrivo l’undicesimo Pacco?

 

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