After election, dopo elezioni

E’ allo sbando questo Paese di democrazia precaria, che regala a due vergini della politica, senza un background di affidabilità, la guida di Roma caput mundi, con il suo edificio della governabilità sgretolato da decenni di disastri amministrativi e il riconosciuto rinascimento di Torino, firmato da Fassino, di una roccaforte della sinistra guidata nel tempo da personaggi come Diego Novelli e Sergio Chiamparino, a una sconosciuta “bocconiana”, unico merito, ammesso che lo sia, della pentastellata eletta al ballottaggio. Non sfinisce qui. Benevento resuscita una delle cariatidi della politica italiana, al secolo Clemente Mastella. Ma il segno più clamoroso, di un’anomalia patologica è Napoli. La campagna elettorale del Pd è da brividi. Dominano la scena la guerra senza esclusione di colpi Valente-Bassolino, apparentamenti sconci del Pd con i verdiniani, la spregiudicata dichiarazione della candidata di Renzi che sollecita i voti di qualunque colore, i veleni tra i due contendenti che hanno fatto la fortuna dei media. Milano? Erano così difficili da prevedere gli stenti di Sala, imparagonabile all’elevata statura di Pisapia? Il punto politico, di là dall’orgia di euforia grillina, di un timido mea culpa del centro destra e di un imbarazzante disagio del Pd, riconduce l’analisi agli errori di quel che restava del Pci. Utopico il moderatismo renziano di costruire sulle macerie della sinistra storica un soggetto nuovo (vecchio), un agglomerato di diversità inclusivo di residui immarcescibili della Dc, di riformismo socialdemocratico, di efficientismo “confindustriale” e pezzi sparsi della destra. Messi di fronte a questo progetto spiazzante, le minoranze, Bersani, Cuperlo, Speranza e Fassina, spalleggiati dall’esterno da Sel, hanno dichiarato guerra a Renzi, in Parlamento e fuori, con azioni di sabotaggio culminate con ostilità palesi (D’Alema) e occulte (astensione dal voto, schede bianche).

Roma non fa testo. Troppo ravvicinati i guai del sindacato Marino, per sperare che un personaggio modesto come Giachetti potesse recuperare consenso per il Pd, evidente la sinergia tra diversi (dissidenti Pd, destra e lega) per infliggere una sconfitta sonora al candidato renziano. Analogo inciucio ha sconfitto irragionevolmente Fassino e ha reso faticosa la vittoria di Merola a Bologna, roccaforte della sinistra. Default Pd in alcuni comuni dell’Emilia rossa. Gli avvoltoi in stand by per azzannare carcasse sono alacremente al lavoro per infierire sulle ferite del Nazareno, agevolati dal fitto, euforico chiacchericcio dei media e non solo delle testate di destra. “L’avevamo detto” è sport tipico del dopo elezioni e in fondo soddisfa anche la domanda di varianti sul tema della leadership di Renzi che in questi anni ha monopolizzato l’attenzione della stampa. C’è nuova materia per editorialisti, politologi, emuli della Sibilla e per il segretario dem si annuncia il tempo, francamente meritato, dello stato d’accusa, probabilmente di una revisione totale del suo progetto politico. Il sospetto è che la guerra fratricida con le minoranze e la sinistra vendoliana, stia per affrontare un nuovo capitolo della sepoltura definitiva e incosciente del Pci di Ingrao e Berlinguer.

Nella foto Raggi-Appendino

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