I vescovi e la “Buona Scuola” – Lettera aperta di un insegnante al presidente della C.E.I.

Egregio Monsignor Galantino,

quando il 9 luglio scorso, dopo l’approvazione alla Camera della riforma della scuola del governo Renzi, ho letto le sue ferventi dichiarazioni “a caldo” a sostegno di una legge tanto iniqua e dannosa ho avuto la tentazione di inviarle subito questa lettera aperta, ricorrendo a un incipit ironico: “Nuntio vobis gaudium magnum: habemus scholam bonam!”.

Si trattava, beninteso, di un’ironia amara, frutto della sorpresa per un endorsement così esplicito da parte di una persona della Sua statura morale. Mi sorprendeva, al pari di tanti colleghi, l’assenza di ogni riferimento da parte Sua alla mobilitazione contro la “Buona Scuola” della quasi totalità dei lavoratori, all’impatto negativo sui livelli occupazionali e sui diritti acquisiti, alle “ricadute” – come si dice nell’orrendo gergo dello “scolastichese” – sui livelli di istruzione, persino sulla qualità dei rapporti umani (tra dirigente e personale, e tra gli stessi docenti) all’interno di ciascun istituto per effetto di un nuovo sistema gerarchico che si richiama ad un moderno efficientismo ma in realtà reintroduce meccanismi feudali e di competitività selvaggia, finanche di odio sociale, che in Italia sembravano superati per sempre.

Mi rendo conto che il richiamo a questi temi ed istanze sembra appartenere soprattutto alla tradizione della sinistra politica italiana ed europea – ma una sinistra non ideologica e settaria, bensì democratica e unitaria come quella del suo nobile conterraneo Giuseppe Di Vittorio – e tuttavia chi conosce la storia della Chiesa post-conciliare, ancor più con l’attuale e autorevole impulso di papa Francesco, sa bene quanto certi valori costituiscano un patrimonio pregnante e consolidato del mondo cattolico. Inoltre, la coraggiosa presa di posizione contro la “Buona Scuola” da parte del governo regionale della sua Puglia, sull’onda di una diffusa e vibrante protesta di popolo, avrà svelato anche a Lei nel frattempo la densità di preoccupazione e incertezza che pulsa dietro il velo della martellante propaganda governativa. Se il termine “deportazione” è certo eccessivo per definire il trasferimento di massa di insegnanti del Sud verso le regioni settentrionali, è altrettanto vero che non si tratta affatto di un fenomeno di “pigrizia mentale”, di “tendenza alla stagnazione”, di “indisponibilità a rinunciare a privilegi e comodità”, come pure è stato scritto.

Mi perdoni se, per spiegarmi meglio, ricorro ad un’esperienza personale. Come centinaia di migliaia di docenti meridionali, anch’io più di vent’anni fa, per poter lavorare, mi sono trasferito a oltre mille chilometri dalla mia città. Ma eravamo giovani, età media 30 anni, e la legge permetteva le domande di trasferimento, le assegnazioni provvisorie nella provincia di provenienza, e soprattutto – per chi aveva o stava per metter su famiglia – il ricongiungimento al coniuge. Oggi i docenti precari hanno un’età media di oltre 40 anni, spesso 50, sono soprattutto donne sposate e con figli, e quelle agevolazioni in vigore fino a ieri sono state del tutto abolite dalla “Buona Scuola”: una legge che sembra ispirata dai “padroni delle ferriere” dei romanzi di Cronin, con l’aggravante di una esibizione persino compiaciuta di arroganza e sadismo.

Altro che “tutela e centralità della famiglia”! Se resterà in vigore questa legge avremo presto migliaia di famiglie smembrate e sofferenti, con i coniugi residenti per anni, forse per sempre, a mille km di distanza e i figli costretti a vivere con un solo genitore. Per non parlare delle giovani coppie o dei tanti “promessi sposi”, che d’ora in poi saranno tutt’altro che incoraggiati all’idea di unirsi in matrimonio e di avere figli. E delle migliaia di docenti, amministrativi, tecnici e ausiliari che a 50-60 anni rischiano di perdere il posto di lavoro e, con esso, l’unica fonte di reddito in famiglia.

E’ questa la “centralità della famiglia” che la CEI ha dichiarato di apprezzare nella “Buona Scuola”? Fino a quando deve durare il misero teatrino dei politicanti “cattolici” e “moderati” che si riempiono la bocca di “misure per la famiglia” sperando di catturare i voti delle parrocchie e poi votano, anzi promuovono, leggi che vanno contro la stabilità delle famiglie e persino contro il diritto alla maternità? Sono le unioni civili che mettono in pericolo la famiglia e la natalità in Italia o piuttosto leggi come la “Buona Scuola” e il “Jobs Act”, fortemente volute da quella parte del ceto di imprenditori e liberi professionisti che pregusta il licenziamento facile e già da decenni (quante volte ne avrà sentito parlare dai suoi fedeli…) espelle dal mondo del lavoro le giovani donne e mogli “colpevoli” di voler dare alla luce una creatura? Serve a poco, in un contesto così grave, quella circolare del ministro Giannini (da Lei tanto apprezzata: la circolare, intendo, il ministro non so) in cui si chiarisce che “la famiglia è il primo soggetto che educa”. Le sembra davvero un’affermazione così inedita? A noi che viviamo nella scuola proprio per nulla: pleonastica, per usare un eufemismo. Perchè è vero che fra i docenti (siamo quasi un milione: tot capita…) c’è anche una componente fortemente ideologizzata e intellettualmente disonesta, che tenta di “catechizzare” – ma non solo sul versante laico, mi creda – e talvolta persino di plagiare gli alunni, ma chi vive nella scuola sa bene che è molto più ampio il numero di insegnanti che ogni giorno si affiancano (e talvolta sono costretti a sostituirsi) alle famiglie per affrontare con spirito di umanità e di ascolto le mille manifestazioni di un disagio giovanile sempre più profondo.

Ecco: ascolto. E’ l’unica cosa che un umile lavoratore della scuola può chiedere ad una autorità morale del Suo spessore: uno sforzo di approfondimento sulla realtà concreta e quotidiana di un settore fondamentale per la nostra crescita civile.

Proprio in questi giorni ho riletto la Sua preziosa e sincera prefazione, ricca di umanità e priva di retorica, al volume sul Murale della Pace di Ettore de Concilis, di cui si celebrerà il cinquantennale proprio domani, domenica 11, nella città di questo illustre artista, Avellino, che è la stessa in cui vivo. E la frase che più mi ha colpito è il Suo coraggioso tributo a Di Vittorio, protagonista di un altro murale di de Conciliis, “raffigurato in mezzo ai lavoratori mentre li guida nelle lotte per recuperare la dignità negata e rubata dai grandi latifondisti”.

E’ davvero un’utopia sognare un nuovo Murale con un rappresentante autorevole della Chiesa rinnovata di papa Francesco “raffigurato in mezzo ai lavoratori – della scuola, dell’industria, delle campagne pugliesi – e ai giovani precari mentre ne condivide le lotte e le ansie per recuperare la dignità negata e rubata” da politicanti e imprenditori ottusi e rapaci come quei latifondisti della Capitanata?

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