MESSICO / NAZIONALIZZA IL LITIO. E I ‘BRICS’ SI RAFFORZANO  

Un annuncio storico in arrivo dal Messico.

Il presidente Andrés Manuel Lopez Obrador ha appena firmato il decreto per la nazionalizzazione del litio, l’oro bianco di parecchi paesi sudamericani, sempre più strategico, a livello mondiale, per i processi di produzione delle batterie per auto elettriche.

Sottolinea Obrador: “Il nostro obiettivo è di nazionalizzare il litio, in modo che non possa essere sfruttato dai paesi stranieri, né dagli Stati Uniti, né dalla Russia, né dalla Cina. Il petrolio e il litio appartengono alla nazione, appartengono al popolo messicano”.

Andrés Manuel Lopez Obrador. Sopra, una miniera di litio

In questo modo viene posto un tassello fondamentale che va a completare la riforma della ‘Legge mineraria’ approvata ad aprile 2022, la quale stabilisce che l’esplorazione, lo sfruttamento e l’uso dei minerali sono di pubblica utilità, concedendo alla Stato messicano il loro uso ‘in esclusiva’.

A questo punto – commenta Obrador – gli ‘amperos’ (i conservatori, ndr) non potranno più coltivare i loro sogni di far diventare il Messico una colonia per gli stranieri e non un Paese indipendente.

La decisione messicana va in linea con quanto si sta delineando in tutto il Sud America. La Bolivia, ad esempio, ha da poco annunciato che verrà creato un monopolio statale sul litio, mentre il Cile ha intenzione di dar vita ad una società pubblica, statale per gestire la questione del litio.

La gran parte delle risorse e delle riserve di litio sono proprio in  Sud America: Argentina, Bolivia e Cile, da soli, totalizzano il 58 per cento a livello mondiale.

Altre significative cifre. Il totale di litio fino ad oggi esplorato supera i 14 milioni di tonnellate, con una produzione annuale che sfiora le 40.000 tonnellate. Il 40 per cento trova il suo utilizzo finale della produzione di accumulatori, il 26 per cento per produrre vetro e ceramica, il 13 per i lubrificanti, il 7 per cento viene adoperato nel settore metallurgico, il 4 per cento per realizzare impianti di condizionamento, il 3 per cento, infine, nel settore medico e nella produzione di polimeri.

Il prezzo del litio è aumentato in maniera vertiginosa nel corso degli anni. Basti pensare che nel 1998 valeva 1.600 euro a tonnellata, per passare agli oltre 7.000 nel 2016, fino a raggiungere l’attuale top che sfiora i 20.000 euro. E secondo le previsioni la domanda nei prossimi anni è destinata a raddoppiare o addirittura triplicare.

 

Un’altra grossa notizia stavolta è in arrivo dal Brasile.

Su iniziativa del neo (ri)presidente verdeoro, Ignacio Lula da Silva, la ex presidente carioca (prima quindi di Jair Bolsonaro), ossia Dilma Rousseff, dovrebbe diventare il numero uno della nuova banca di sviluppo BRICS, acronimo di ‘Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica’, vale a dire l’organizzazione creata dai cinque paesi una dozzina d’anni fa per incentivare il commercio e la cooperazione.

Dilma Roussef

L’organizzazione ha avuto un forte impulso nel corso dell’ultimo anno, a significare una forte risposta, in chiave economica, alle mire espansioniste e imperialiste degli Stati Uniti, una sorta di risposta alla politica di sanzioni Usa contro i paesi ritenuti nemici, come succede con Russia, Siria e Afghanistan, ad esempio.

E i BRICS, per tutta risposta, hanno deciso di allargare il loro raggio d’azione, per coinvolgere nel progetto di cooperazione economica e commerciale altri paesi, dal Sud America all’Africa fino all’Asia, quelli che una volta venivano definiti del ‘terzo mondo’ o ‘emergenti’. A quanto pare, negli ultimi mesi sono arrivate precise richieste di adesione da parte di Argentina, Algeria e perfino dell’Arabia Saudita.

Torniamo alla iniziativa presa da Lula. Secondo il più importante quotidiano di San Paolo, ‘O Estado’, gli altri paesi BRICS avrebbero già approvato la nomina di Dilma Rousseff: manca solo la ratifica ufficiale da parte dei cinque governatori del consiglio d’amministrazione della neo nata banca, che si chiamerà ‘New Development Bank – NDB’.

Per la fine di marzo è già programmata una visita ufficiale di Lula in Cina, e a quanto pare verrà accompagnato, tra gli altri, anche dalla Rousseff, che di recente ha affermato: “lo sviluppo della Cina è un modello di gran lunga migliore rispetto alla decadenza occidentale in cui i paesi vengono deindustrializzati sotto l’impulso del liberismo e della finanziarizzazione dell’economia”.

Ha inoltre parlato esplicitamente di ‘de-dollarizzazione’, cioè la fine dell’egemonia della moneta Usa sul mercato internazionale.

La stessa Rousseff si è espressa con chiarezza “contro la guerra ibrida della NATO contro la Russia che ha creato il conflitto tra Ucraina e Russia”, sostenendo che le sanzioni americane contro la Russia sanciranno la fine della supremazia della valuta a stelle e strisce.

 

Parole molto chiare.

Che sicuramente non risulteranno gradite ai progetti sognati per il nuovo mondo ri-globalizzato dal magnate mangia-paesi George Soros. Il quale, nel recentissimo G7 di Monaco, si è lasciato andare ad una serie di previsioni che destano forti preoccupazioni, oltre che per il mondo, anche per il suo equilibrio mentale.

Ecco alcune chicche griffate Soros: l’Ucraina deve sconfiggere la Russia (che si dovrà dissolvere) entro e non oltre questa primavera; poi gli Stati Uniti dovranno occuparsi di sistemare la pratica Cina, il vero nemico (e anche una vera ossessione per Soros). E quindi la previsione sul prossimo destino di alcune nazioni: Brasile e India si accorderanno con l’Occidente e rientreranno quindi nella sfera d’influenza Usa; così come la Turchia rinsalderà i suoi rapporti con la NATO.

Le ultime previsioni sembrano frutto d’uno stato di palese ubriachezza: infatti, come abbiamo visto, India e ancor più Brasile sono due tasselli base nel colorato mosaico BRICS (e le parole di Dilma Rousseff lo confermano ampiamente).

Quanto alla Turchia, soprattutto dopo il tragico terremoto, non è detto che Recep Erdogan non abbia in mente un’idea suggestiva: proprio quella di tagliare il cordone ombelicale con la NATO, con un progressivo bye bye Usa. E un legame più solido proprio con la Russia, caso mai in prospettiva BRICS.

Un regalo per Joe Biden in vista delle presidenziali?

 

 

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