Meloni-mania, safari di nomination

Per i pochi italiani che non frequentano la lingua britannica e dopo opportuna consultazione del Collins, dizionario inglese-italiano in formato ridotto, ma non per questo incompleto, segnaliamo che ‘spoil’, sostantivo maschile frequentatissimo in questi giorni di pinocchierie di “Yo soy Giorgia” che rischiano di deturpare il suo angelico profilo con la crescita del suo nasino, si traduce in ‘bottino’. Unito a ‘system’ racconta un’evidente anomalia della nostra imperfetta democrazia. Ovvero, la “facoltà del governo in carica, dopo tre mesi dal voto di fiducia, di arraffare i vertici di ministeri e agenzie a loro sottoposti”. In chiaro: l’accaparramento, la caccia grossa, concede all’esecutivo vincente di ‘piazzare’ in ruoli strategici segretari generali, capi dipartimento dei ministeri, direttori delle agenzie, una quarantina di big ad alto livello decisionale, con potere reale, un mini esercito di ‘amici del giaguaro’.  In automatica transazione si inoltreranno nell’identico percorso centinaia di dirigenti. In chiaro, ecco cosa ha inventato la partitocrazia per svilire un equo rapporto tra maggioranza e opposizione, ed è responsabilità dell’intero parlamento, sinistra inclusa. Di qui le lacrime di coccodrillo delle opposizioni, indignate per il man bassa della destra, molto prima dei novanta giorni richiesti, autore il ministro Sangiuliano, che ha negato alla Melandri il rinnovo del contratto di direttrice del museo MAXXI per insediare un ‘fratello d’Italia’, seriale melonomane.

Ovvio, chi governa e ora la destra, usa lo spoil system a piene mani e lo giustifica: altrimenti, i suoi ministri sarebbero esposti al ‘sabotaggio’ di dirigenti politicamente ostili. E però, il monopolio governativo delle nomine impedisce la funzione di controllo, l’indipendenza delle amministrazioni. Non a caso il vertice del Copasir, Comitato per la Sicurezza della Repubblica, è riservato alle opposizioni. La via di mezzo: rispettare il mandato degli elettori, ma garantire competenza e continuità (Boeri, la Repubblica). Nello specifico di asso pigliatutto della destra aggravante è il sospetto sulla ‘rettitudine’ dei soggetti designati e dubbi  su competenze ed esperienza, che già nella scelta dei ministri hanno suscitato non poche perplessità (Piantedosi, Valditara, Sangiuliano…).

Il cattivo giorno si vede dal mattino: per la successione al governo della regione Lazio la destra scommette su Rocca, da giovane affiliato a una banda criminale, a suo tempo condannato per spaccio di droga. In una sua esternazione cita personaggi della sinistra che in età giovanile hanno aderito al fascismo: punta il dito sul giovanissimo Eugenio Scalfari, e lo paragona al proprio passato di spacciatore (!!!). Analizzato da autorevoli osservatori che giudicano l’etica della politica, l’accostamento tenta di legittimare l’imminente infornata di ‘fratelli d’Italia’’ nei gangli decisionali della pubblica amministrazione, in assenza di auspicabile rivisitazione dello spoil system in par condicio.

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