SINISA MIHAJLOVIC / COSI’ LA NATO MASSACRO’ LA MIA SERBIA

Ci pare doveroso ricordare la memoria di un grande campione, ma soprattutto di un grande uomo come Sinisa Mihajlovic riportando integralmente il testo di un’intervista rilasciata il 23 marzo 2009 al redattore del ‘Corriere di Bologna’Guido De Carolis. Un’intervista soprattutto sugli aspetti meno noti della sua vita, ed in particolare sulla guerra scatenata dalla NATO che rase al suolo il suo paese, la Serbia. Rammentiamo che il premier italiano, all’epoca dei micidiali bombardamenti NATO, era Massimo D’Alema.

Così introduce l’intervista De Carolis: “Non rinnega, perché è fiero. Non ha vergogna, perché non c’è paura. Parlare di forza del gruppo, spogliatoio coeso non è il suo rifugio. Per star comodamente al mondo, anche in quello del calcio, basta dire ovvie banalità. Si fa così, è il protocollo da conferenza stampa. Racconta niente ma basta a sfamare tutti. Sinisa Mihajlovic no. Non la prende mai alla larga, non ci gira attorno. Va dentro il problema, lo spacca, lo analizza. Poi lo ripone daccapo, con un’altra domanda e una nuova ancora, finchè sei tu a cercare risposte e a dover ricomporre certezze sgretolate. Mihajlovic è una persona forte, cresciuto sotto il generale Tito, svezzato da due guerre, indurito dall’orgoglio della sua Serbia. Gli storici sogni di grandezza del Paese sono scomparsi, resta a mala pena la voglia di farcela a sopravvivere. L’allenatore del Bologna è un ‘privilegiato’, almeno così dice chi guarda da fuori. E in fondo è vero. Aveva notorietà e miliardi in tasca quando sulla sua casa piovevano bombe. Aveva tutto, ha ancora l’umiltà di non dimenticare da dove viene e chi è.

 

Bombardamenti NATO su Belgrado

 

Domanda – Il 24 marzo 1999 la Nato cominciò i bombardamenti sulla Federazione Jugoslava. Quando l’hai saputo? Dov’eri?

Risposta – In ritiro con la nazionale slava. La notte prima ci avvisarono che la guerra sarebbe potuta cominciare. Eravamo al confine con l’Ungheria, la Federazione ci trasferì in fretta a Budapest. La mattina dopo sulla CNN c’erano già i caccia della Nato che sventravano la Serbia.

Qual è stata la tua prima reazione?

Ho contattato i miei genitori, stavano a Novi Sad. Li ho fatti trasferire a Budapest, ma papà non voleva. Da lì siamo partiti per Roma (ai tempi giocava nella Lazio, ndr) ma dopo due giorni mio padre Bogdan ha voluto tornare in Serbia. Mi disse: ‘Sono già scappato una volta da Vukovar a Belgrado durante la guerra civile. Non lo farò ancora, non potrei più guardare i vicini di casa quando i bombardamenti finiranno’. Prese mia madre Viktoria e se ne andarono. Ero preoccupato, ma fiero di lui”.

Dieci anni dopo come giudichi quella guerra?

Devastante per la mia patria e il mio popolo. A Novi Sad c’erano due ponti sul Danubio: li fecero saltare subito. Ci misero in ginocchio dal primo giorno. Prima della guerra per andare dai miei genitori dovevo fare 1,4 chilometri ma senza ponti eravamo costretti a un giro di 80 chilometri. Per mesi la gente ha sofferto ingiustamente. Bombe su ospedali, scuole, civili: tutto spazzato via, tanto non faceva differenza per gli americani. Sul Danubio giravano solo delle zattere vecchie. Come la giudico? Ho ricordi terribili, incancellabili, inaccettabili”.

Ma la reazione della Nato fu dettata dalla follia di Milosevic. La storia dice che fu lui a provocare la guerra.

Siamo un popolo orgoglioso. Certo, tra noi abbiamo sempre litigato, ma siamo tutti serbi. E preferisco combattere per un mio connazionale e difenderlo contro un aggressore esterno. So dei crimini attribuiti a Milosevic, ma nel momento in cui la Serbia viene attaccata, io difendo il mio popolo e chi lo rappresenta”.

L’hai conosciuto?

Ci ho parlato tre, quattro volte. Aveva una mia maglietta della Stella Rossa di Belgrado e mi diceva: ‘Sinisa, se tutti i serbi fossero come te ci sarebbero meno problemi in questa terra’.

Il tuo rapporto con gli americani?

Non li sopporto. In Jugoslavia hanno lasciato solo morte e distruzione. Hanno bombardato il mio Paese, ci hanno ridotti a nulla. Dopo la Seconda Guerra Mondiale avevano aiutato a ricostruire l’Europa, a noi invece non è arrivato niente: prima hanno devastato e poi ci hanno abbandonati. Bambini e animali per anni sono nati con malformazioni genetiche, tutto per le bombe e l’uranio che ci hanno buttato addosso. Che devo pensare di loro?

Rifaresti tutto ciò che hai fatto in quegli anni, compreso il necrologio per Arkan?

Lo rifarei, perché Arkan era un mio amico: lui è stato un eroe per il popolo serbo. Era un mio amico vero, era il capo degli ultras della Stella Rossa quando io giocavo lì. Io gli amici non li tradisco né li rinnego.

Ma le atrocità commesse?

Le atrocità? Voi parlate di atrocità, ma non c’eravate. Io sono nato a Vukovar, i croati erano maggioranza, noi serbi minoranza lì. Nel 1991 c’era la caccia al serbo: gente che per anni aveva vissuto insieme, da un giorno all’altro si sparava addosso. E’ come se oggi i bolognesi decidessero di fare piazza pulita dei pugliesi che vivono nelle loro città. E’ giusto? Arkan venne a difendere i serbi in Croazia. I suoi crimini di guerra non sono giustificabili, ma cosa c’è di non orribile in una guerra civile?

Sì, ma i croati…

Mia madre Viktoria è croata, mio papà serbo. Quando da Vukovar si spostarono a Belgrado, mia mamma chiamò suo fratello, mio zio Ivo e disse: c’è la guerra, mettiti in salvo, vieni a casa di Sinisa. Lui rispose: perché hai portato via tuo marito? Quel porco serbo doveva restare qui così lo scannavamo. Il clima era questo. Poi Arkan catturò lo zio Ivo che aveva addosso il mio numero di telefono. Arkan mi chiamò: ‘C’è qui uno che sostiene di essere tuo zio, lo porto a Belgrado’. Non dissi niente a mia madre, ma gli salvai la vita e lo ospitai per venti giorni.

Hai nostalgia della Jugoslavia?

Certo, quella di Tito. Slavi, cattolici, ortodossi, musulmani: solo il generale è riuscito a tenere tutti insieme. Ero piccolo quando c’era lui, ma una cosa ricordo: del blocco dei paesi dell’Est, la Jugoslavia era il migliore. I miei erano gente umile, operai, ma non ci mancava niente. Andavamo a fare spese a Trieste delle volte. Con Tito esistevano valori, famiglia, un’idea di patria e di popolo. Quando è morto, la gente è andata per mesi sulla sua tomba. Con lui la Jugoslavia era il paese più bello del mondo, insieme all’Italia che io amo e che oggi si sta rovinando.

Sei un nazionalista?

Che vuol dire nazionalista? Di sicuro non sono un fascista come ha detto qualcuno per la vicenda di Arkan. Ho vissuto con Tito, sono più comunista di tanti. Se nazionalista vuol dire patriota, se significa amare la mia terra e la mia nazione, beh sì, io lo sono.

E’ giusta l’indipendenza del Kosovo?

Il Kosovo è Serbia. Punto. Non di possono cacciare i serbi da casa loro. No, l’indipendenza non è giusta per niente.

Dieci anni dopo la guerra, cosa è ora la Serbia?

Un paese scaraventato indietro di 50-100 anni. A Belgrado il centro è stato ricostruito, ma fuori c’è devastazione. E anche dentro le persone. Oggi educare un bambino è un’impresa impossibile.

Perché?

Con Tito t’insegnavano a studiare, per migliorarti, magari per diventare un medico, un dottore e guadagnare bene per vivere bene, com’era giusto. Oggi lo sapete quanto prende un primario in Serbia? 300 euro al mese e non arriva a sfamare i suoi figli. I bimbi vedono che soldi, donne, benessere li hanno solo i mafiosi: è chiaro che il punto di riferimento diventa quello. C’è emergenza educativa in Serbia. E’ l’educazione che dobbiamo far rinascere.

Sei ambasciatore Unicef da dieci anni e hai aperto una casa di accoglienza per gli orfani a Novi Sad.

Sì, è vero, ce ne sono 150 ma non ne voglio parlare. So io ciò che faccio per il mio Paese. Una cosa non ho mai fatto, come invece alcuni calciatori croati: mandare soldi per comprare armi.

L’immagine peggiore che hai della guerra?

Giocavo nella Lazio. Apro il Messaggero e vedo una foto con due cadaveri. La didascalia diceva: due croati uccisi dai cecchini serbi. Uno aveva una pallottola in fronte. Era un mio caro amico, serbo. Lì ho capito, su di noi hanno raccontato tante cose. Troppe non vere.

 

 

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