NOVEMBRE BOLLENTE / TRE PROCESSI CONTRO LA VOCE

Novembre bollente per la ‘Voce’, costretta ad affrontare tre grossi processi per diffamazione. Ossia per aver esercitato quel sacrosanto diritto di cronaca e di critica sancito dalla Costituzione che dà tanto fastidio ai Potenti.

Ecco la sfilza dei procedimenti giudiziari, che poi esamineremo più in dettaglio.

11 novembreAntonio Rinaudo, magistrato oggi in pensione, contro la Voce e il suo direttore, Andrea Cinquegrani.

17 novembreMassimo Marasca, magistrato in servizio al tribunale di Roma, contro la Voce e contro Cinquegrani.

23 novembre. Tutta la famiglia Marcucci (Andrea, Marilina Paolo Marcucci, la madre Iole Capannori) nonché la corazzata di famiglia, ‘Kedrion’, regina degli emoderivati anche a livello internazionale, contro la Voce e contro Cinquegrani.

Vediamo in rapida carrellata le tre vicende, invitandovi a leggere gli articoli in basso, cliccando sui link, per avere un quadro più completo.

 

RINAUDO CONTRO VOCE 

Si tratta della seconda querela sporta dal magistrato per anni in servizio al tribunale di Torino contro la Voce.

Agostino Cordova. Nel montaggio di apertura, da sinistra, Massimo Marasca, Andrea Marcucci e Antonio Rinaudo

La prima ha riguardato, in particolare, un’inchiesta sui rapporti tra magistratura e massoneria. Un’ampia ricognizione. In essa faceva capolino anche il nome di Rinaudo, in quanto iscritto al Grande Oriente d’Italia. Un’affiliazione incontrovertibile, documentata. Tanto che al tribunale di Cassino – dove si è svolto il processo – venne a testimoniare perfino l’ex procuratore capo di Palmi e poi di Napoli, Agostino Cordova, noto per le sue inchieste sulla massoneria calabrese e non solo. Ebbene, Cordova depose e, interrogato circa l’affiliazione di Rinaudo, non potè che confermarla, proprio in base agli elenchi del GOI. Del resto, anche il settimanale ‘l’Espresso’, in quel periodo, realizzò un’inchiesta molto simile: come mai – a quanto pare – Rinaudo se la prese solo con la piccola e autogestita Voce e non con l’allora colosso di casa De Benedetti? Mistero.

La causa, ora, è in Cassazione.

Veniamo alla seconda querela, che non tira più in ballo l’affiliazione massonica ma altre vicende. Rinaudo, infatti, si scaglia contro la Voce per una serie di motivi.

Si duole – la toga torinese molto amica di Luciano Moggi, l’ex super manager della Juve – per il fatto che abbiamo rammentato i suoi processi contro i NO TAV, accusati addirittura di ‘terrorismo’ e per i quali ha chiesto pene pesantissime. Tra gli imputati anche una ‘pasionaria’ di 73 anni, Nicoletta Dosio. E’ una colpa aver riportato quei fatti – incontestabili – di cronaca? O forse è lesa maestà?

Ancora. La toga lamenta il fatto che abbiamo riferito di un incarico ottenuto nei primi mesi della pandemia, essendo stato nominato a capo di una task force regionale anti-covid. Se il fatto è vero, non smentito, incontestabile, d’interesse pubblico, perché dolersene?

Ancora lesa maestà, così come l’aver semplicemente rammentato ai lettori che Rinaudo percepisce una “pensione d’oro”? Un reato il solo riferirlo?

Vi faremo sapere cosa succederà nel corso dell’udienza che si terrà l’11 novembre presso la prima sezione penale del tribunale di Napoli, nel corso della quale è previsto l’interrogatorio del querelante, Rinaudo appunto, che dovrà rispondere alle domande del legale della Voce, l’avvocato Andrea Esposito.

 

MARASCA CONTRO VOCE 

Molto più intricata la seconda ‘story’, che arriva fino ad Antonio Di Pietro, l’ex pm di Mani Pulite. L’abbiamo raccontata più volte, per questo cerchiamo qui di sintetizzare, invitandovi però a leggere i pezzi che trovate cliccando sui link in basso.

Massimo Marasca ha querelato – ritenendolo pesantemente diffamatorio – un articolo di due anni fa della Voce dedicato al giallo della tragica morte di Marco Vannini, che tutti gli italiani ben ricordano. In quel pezzo rammentavamo soprattutto una circostanza: il fatto, cioè, che il gup del processo, Marasca, non avesse accolto la richiesta presentata dai legali della famiglia Vannini di coinvolgere nel processo, sotto il profilo della responsabilità, anche il Ministero della Difesa, dal momento che l’imputato principale, Antonio Ciontoli, era all’epoca un carabiniere in servizio attivo.

Marco Vannini

Molte associazioni, tanti cittadini e ovviamente il legale della famiglia Vannini hanno censurato il comportamento del gup Marasca. La Voce non ha fatto altro che raccogliere quelle doglianze, che a noi parevano senz’altro condivisibili. E’ un reato, questo?

Nella seconda parte dell’inchiesta dettagliavamo un breve profilo del gup Marasca. Ricordando che quando era in servizio al tribunale di Sulmona, come giudice di primo grado, condannò la Voce per un articolo scritto da un giornalista RaiAlberico Giostra, ad una sanzione record: 70 mila euro più spese e varie, quando la controparte, Annita Zinni, una preside di Sulmona molto legata ad Italia dei Valori, il partito fondato da Antonio Di Pietro, aveva chiesto quasi la metà, 40 mila euro.

Al centro della querelle l’articolo di Giostra sulla controversa maturità del figlio di Di PietroCristiano. Nel quale era contenuta una imprecisione, ossia il nome della scuola: imprecisione subito rettificata nel numero seguente.

Ma a nulla servì, quella rettifica, perché quel piccolo errore ci costò molto caro, 70 mila euro, presto lievitati a 90 mila.

Antonio Di Pietro

Una cifra da Guinness dei primati. Lo scriviamo a chiare lettere nel pezzo dedicato al ‘giallo Vannini’. E facciamo solo un piccolo raffronto: nel suo celebre ‘Gomorra’ Roberto Saviano prende lucciole per lanterne e accusa un cittadino con tanto di nome e cognome, di essere un camorrista. Ovviamente il poveretto denuncia, e il tribunale condanna la ‘Mondadori’, editrice di ‘Gomorra’, ad un risarcimento da 30 mila euro. Sorge spontanea la domanda, ci siamo chiesti nel pezzo querelato da Marasca: possibile mai, la piccola Voce condannata a 70 mila per aver sbagliato il nome di una scuola e Mondadori ad appena 30 mila per aver bollato un incensurato di camorra in un libro che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo?

Qualcosa di strano. Come molto strana ci è subito parsa la motivazione del grave ‘danno esistenziale’ patito dalla Zinni: che sostiene di essersi chiusa in casa, per oltre sei mesi, a causa della vergona provocata dall’articolo. Circostanza clamorosamente smentita dall’evidenza dei fatti: la preside Zinni, infatti, proprio in quel lungo periodo di ‘quarantena’ ha preso parte a convegni, dibattiti pubblici, assemblee di partito, tanto da essere poi addirittura eletta per acclamazione segretario provinciale di Italia dei Valori!

Una clausura e un ‘danno esistenziale’ che di tutta evidenza le hanno portato molto bene sotto il profilo politico…

Quella condanna pecuniaria – va sottolineato – ha costretto la Voce a chiudere i battenti (ossia l’edizione cartacea, il nostro mensile) dopo 30 anni appena suonati, dal momento che il primo numero dell’allora Voce della Campania (poi Voce delle Voci a diffusione nazionale dal 2007) è datato aprile 1984; e l’ultimo è dell’aprile 2014.

Saranno questi i temi-base intorno ai quali ruoterà l’udienza del prossimo 16 novembre. Vi terremo informati su quanto succede davanti alla quinta sezione penale del tribunale di Napoli. La Voce è difesa dall’avvocato Francesco Cafiero de Raho.

 

MARCUCCI CONTRO VOCE 

Eccoci ad un’altra udienza bollente, quella che vede la Voce (anche stavolta difesa dall’avvocato Cafiero de Raho) contro l’intera famiglia Marcucci e Kedrion, la regina nel campo degli emoderivati, ancor più dopo l’operazione ‘Permira’ che ha visto l’ingresso azionario di uno dei più grossi fondi d’investimento a livello internazionale. Così coloriva nel 1991 il mitico Giampaolo Pansa quando la Voce veniva attaccata a tutta pagina da ‘Il Mattino’ dei Gava, dei De Mita e dei Pomicino: “Come a Sarajevo, i cannoni contro le biciclette”. E così adesso, il colosso mondiale Kedrion e i suoi timonieri contro la Voce.

Molti dettagli sulla querelle e su questo ‘secondo round’ giudiziario li potete leggere negli articoli che trovate in basso.

Qui vogliamo ‘contestualizzare’ la nostra vicenda processuale.

Ci hanno voluto colpire sia in passato che negli ultimi anni con querele, i Marcucci, perché non ci perdonano una serie di fatti.

A cominciare dal primo articolo scritto addirittura 45 anni fa, quando erano degli illustri sconosciuti, eppure già in grado di cumular fortune con la raccolta di sangue e la lavorazione degli emoderivati.

Il quel primo reportage del 1977, infatti, parlavamo già di metodi disinvolti di ‘raccolta’, addirittura nell’ex Congo Belga. Come mai allora non si mosse foglia e nessuno pensò bene di smentire, né tantomeno di querelare?

Francesco De Lorenzo

E ancora più clamorosa è la seconda vicenda. A gennaio 1993, infatti, la Voce co-edita con la Publiprint di Trento ‘Sua Sanità’, dedicato alle acrobatiche performance dell’allora ministro Francesco De Lorenzo, il cui portaborse (nel senso letterale del termine) era – udite udite – l’attuale neo Ministro della Cultura Genny Sangiuliano, che coordinava il giornalino ‘Gli amici del Pascale’, il nosocomio allora feudo della dinasty dei De Lorenzo (il padre Ferruccio, presidente a vita dell’Ordine dei Medici a Napoli, e, appunto, Sua Sanità).

Guarda caso, è proprio a Trento che parte l’inchiesta sul sangue infetto, la strage che in Italia fa migliaia e migliaia di vittime (oltre 5 mila). Perché a Trento lavora come avvocato e si dedica anche alla politica come consigliere provinciale della ‘Rete’ di Leoluca Orlando, uno dei più coraggiosi magistrati italiani, Carlo Palermo, scampato per miracolo, in Sicilia, alle bombe della mafia, quindi passato alla Procura di Trento per portare avanti inchieste altrettanto bollenti, come quelle sui fondi neri & le maxi tangenti ai partiti dei grandi gruppi economico-finanziari.

Più volte ri-minacciato, Palermo lascia la magistratura e passa all’avvocatura, appunto, e all’impegno politico; e firma anche libri al vetriolo, veri j’accuse, pubblicati – guarda caso – dalla battagliera Publiprint. E proprio da una sua denuncia come avvocato e da un’interrogazione provinciale prende le mosse la super inchiesta sul sangue infetto. Si mettono in moto le Fiamme gialle che presto scoprono un deposito, in Veneto, dove vengono rinvenuti, all’interno di appositi congelatori, partite di baccalà e – guarda caso – di emoderivati. Ci vuol poco per scoprire chi li produce, quegli emoderivati: si tratta delle sigle che all’epoca già popolavano l’arcipelago Marcucci, come Sclavo, Biagini e Farmabiagini, per far solo alcuni nomi.

Fatti e circostanze descritti in ‘Sua Sanità’, che fanno andare su tutte le furie il ministro De Lorenzo, il quale chiede addirittura un sequestro preventivo delle copie del libro, mentre la Voce lo denuncia per ricettazione, essendo entrato in possesso delle bozze in modo illegale: tanto che ‘il Resto del Carlino’ all’epoca titolerà: “De Lorenzo adesso frega anche le bozze dei libri”.

Ma non mettono più di tanto in allarme in Marcucci, i quali non chiedono rettifiche né querelano: eppure il libro resta per cinque settimane tra i più venduti della saggistica. Come mai?

Un capitolo del libro è interamente dedicato ai Marcucci: sia ai rapporti politici che d’affari. Un rampollo della famiglia, Andrea, nel ’92 infatti si presenta alle elezioni politiche sotto i vessilli del PLI di De Lorenzo e del segretario Renato Altissimo. Dissolto il PLI, il prode Andrea passa armi e bagagli al Pds, che poi, dopo varie trasmutazioni, si trasformerà in Partito Democratici, di cui per anni Andrea Marcucci è stato capogruppo al Senato, come fedelissimo di Matteo Renzi.

Sul fronte degli affari, invece, in ‘Sua Sanità’ documentavamo la presenza nel cda di Sclavo di un fratello del ministro, l’avvocato Renato De Lorenzo.

Torniamo quindi ai veri motivi del rancore griffato Marcucci contro la Voce. Per aver scritto il libro che è all’origine del processo sul sangue infetto; per aver seguito negli anni le acrobazie imprenditoriali e societarie della dinasty, per aver seguito, negli anni 2000, l’irresistibile ascesa della corazzata Kedrion, e ancora per aver seguito e documentato tutte le udienze del processo finalmente – dopo anni e anni di peripezie – iniziato a Napoli nel 2016 e terminato dopo tre anni esatti con un clamoroso nulla di fatto: perché tutti gli imputati, dal re Mida della Sanità Duilio Poggiolini a diversi dirigenti delle aziende del gruppo Marcucci, sono stati prosciolti da ogni accusa, perché “il fatto non sussiste”. Non è stato dimostrato – secondo il giudice Antonio Palumbo – il nesso causale tra l’assunzione degli emoderivati e i decessi.

Dopo quella sentenza assolutoria, secondo i Marcucci e i loro legali, non è più permesso parlare di “strage del sangue infetto”.

E invece la Voce – lo abbiamo ribadito tante volte – non ha alcuna intenzione di ‘dimenticare’ quei fatti, quella immane tragedia rimasta senza colpevoli (pensate che in Francia a inizio anni 2000 cadde un governo, l’esecutivo Juppè!).

Per un preciso dovere non solo di informazione, di cronaca (e anche di critica, come previsto dalla legge): ma soprattutto per conservare la ‘MEMORIA’.

E’ un reato forse ricordare quei morti, 5.000 e passa, il doppio delle Torri Gemelle?

E continueremo su questa strada. Per ricordare a tutti che le stragi di vittime innocenti alla fine si pagano. Come del resto sta ampiamente dimostrando la tragica gestione della pandemia che ha procurato migliaia e migliaia di vittime innocenti; e come dimostrerà l’uso di vaccini non adeguatamente testati e sperimentati.

E’ il crimine più grave al mondo quello di far profitti a palate sul sangue, sulla pelle e sulla salute dei cittadini.

La Verità, alla fine, viene sempre a galla.

 

P.S. Non è finita qui. Perché l’11 gennaio 2023 ci attende un altro processo, stavolta contro un altro colosso internazionale, WADA, l’Agenzia Mondiale Anti Doping che ci ha querelato per i 19 articoli scritti nel 2016 sull’incredibile vicenda che ha coinvolto il nostro campione di marcia, Alex Schwazer. Avremo modo di ripercorrere la vicenda ai primi di gennaio.

 

 

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