NEW YORK TIMES / AIUTARE L’UCRAINA NON VALE IL RISCHIO DI UNA GUERRA MONDIALE

Finalmente qualcosa di muove, negli Stati Uniti, sulla politica ‘ucraina’ fino ad oggi portata avanti dall’amministrazione Biden.

Lo testimonia, per fare l’esempio più fresco, una intervista appena pubblicata dal ‘New York Times’ – un ‘termometro’ che più autorevole non si puo’ anche per quanto concerne gli ‘umori’ dell’establishment – ad un prestigioso docente della ‘Georgetown University’, Charles Kupchan.

Di seguito eccone i passaggi più significativi.

Charles Kupchan

“L’Ucraina, con l’aiuto dell’Occidente, ha sostenuto una strenua difesa della sua sovranità. Ma il rischio di una guerra più ampia tra NATO e Russia aumenta di giorno in giorno, così come il rischio che il contraccolpo economico di una guerra prolungata possa minare la democrazia occidentale. E’ tempo che gli Stati Uniti e i loro alleati siano coinvolti direttamente nella definizione degli obiettivi strategici dell’Ucraina, nella gestione del conflitto e nella ricerca di una conclusione diplomatica. Con l’escalation del conflitto, una prudente prevenzione della guerra tra NATO e Russia richiede un passo successivo: il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella pianificazione operativa dell’Ucraina”.

“I successi sul campo di battaglia dell’Ucraina potrebbero arrivare troppo oltre. Se la difesa dell’Ucraina non vale gli stivali statunitensi sul campo, anche il ritorno di tutto il Donbass e della Crimea sotto il controllo ucraino non vale il rischio di una nuova guerra mondiale”.

“Spingere per la sconfitta totale della Russia è una scommessa non necessaria”.

“Un ipotetico accordo tra Russia e Ucraina dovrebbe basarsi su due elementi fondamentali. In primo luogo, l’Ucraina dovrebbe lasciar cadere la sua richiesta di adesione alla NATO, un obiettivo che da anni provoca una forte opposizione russa. La Russia ha legittime preoccupazioni per la sicurezza riguardo all’apertura di un hub della NATO a ridosso del confine ucraino che misura oltre 1.000 miglia. La NATO non può essere un’alleanza difensiva, ma ha una potenza militare aggregata che Mosca, comprensibilmente, non vuole che sia posta nei pressi del suo territorio”.

“Inoltre, entrambe le parti dovrebbero scendere ad un compromesso: Mosca deve abbandonare la sua intenzione, annunciata di recente, di annettere una fetta importante dell’Ucraina orientale e Kiev dovrebbe accontentarsi di tale risultato, dal momento che il prolungamento della guerra potrebbe portare a ben altro che alla riconquista di tutto il suo territorio”.

“Aiutare l’Ucraina a difendersi giustifica uno sforzo abbastanza

significativo, ma non quello di innescare una terza guerra mondiale o di provocare il collasso della democrazia occidentale”.

Più chiari di così!

 

A seguire vi proponiamo la lettura di un articolo molto interessante pubblicato da ‘Piccole Note’ e titolato “Ucraina: il Pentagono invia soldati Usa e commandos afghani”. Fotografa una situazione ben poco allegra, foriera di sviluppi che più neri non si può. Ma al Pentagono (e ancor più al super-guerrafondaio Dipartimento di Stato capeggiato dai ‘falchi’ Tony Blinken e Victoria Nuland) non leggono interventi come quello di Kupchan che con acume propone il ‘minimo sindacale’ per avviare i negoziati?

 

 

 

Ucraina: il Pentagono invia soldati Usa e commandos afghani

 

Gli Stati Uniti hanno inviato militari in Ucraina. Un passo che contrasta nettamente con l’affermazione di Biden che gli Stati Uniti non avrebbero mai inviato soldati nella guerra che contrappone Kiev a Mosca.

Tale improvvida iniziativa segna un piccolo punto di svolta del conflitto, dal momento che finora gli Usa si erano limitati a inviare le proprie truppe speciali sotto forma di mercenari, per lo più veterani delle guerre infinite.

Con questa iniziativa le cose cambiano, e molto, come scrive Melkulangara Bhadrakumar su Indianpunchline (articolo ripreso dal Ron Paul Institute) perché i militari americani potrebbero essere uccisi nel corso dei combattimenti, sia al fronte che in seguito a un attacco in profondità dei russi.

Se succedesse, c’è il rischio che gli Stati Uniti possano esser coinvolti ancor più apertamente nel conflitto, coinvolgendo peraltro anche i Paesi Nato. Un rischio da non sottovalutare, come spiega Bhadrakumar, che aggiunge come la spiegazione data per l’invio del personale militare in Ucraina suoni alquanto “ingegnosa”.

Infatti, i soldati dell’US Army avrebbero il compito di vigilare sugli armamenti inviati in Ucraina, per garantire che tutto proceda secondo quanto stabilito.

 

Dai consiglieri militari del Vietnam ai vigilantes ucraini

Il funzionario che ha rivelato ai media l’esistenza di questi strani vigilantes, continua Bhadrakumar, “ha affermato che ciò faceva parte di una più ampia campagna statunitense, annunciata la scorsa settimana dal Dipartimento di Stato, ‘intesa a garantire che le armi fornite all’Ucraina non finiscano nelle mani delle truppe russe, dei loro alleati o di altri gruppi estremisti”. Spiegazione alquanto ingegnosa, infatti, quanto poco credibile. Avranno compiti precisi, bellici.

La notizia fa il paio con un’altra, proveniente sempre dagli Stati Uniti, che cioè il Pentagono ha deciso di inviare nel teatro di guerra anche i commandos afghani addestrati dagli Stati Uniti durante la lunga occupazione di Kabul (Responsible Statecraft).

La prima notizia sembra rinverdire i fasti del Vietnam, quando gli Stati Uniti inviarono nel Paese del Sud-Est asiatico i propri militari in qualità di “consiglieri”, in realtà dei veri e propri combattenti. Un passo che precedette quello dell’invio ufficiale del proprio esercito.

Tale notizia, insieme a quella dei commandos, segnala che le cose in Ucraina non vanno proprio come racconta la narrativa ufficiale. Se gli Stati Uniti devono inviare il proprio personale militare, vuol dire che quello in loco non regge più.

Sembra così confermato quanto dicono e scrivono i russi (propaganda, ovviamente), che cioè l’esercito ucraino nelle recenti controffensive, celebrate dai media d’Occidente per le sue gloriose conquiste, ha subito perdite pesantissime, tanto che serve con urgenza un qualche correttivo sotto forma di rinforzi non più mascherati (di mercenari provenienti da diversi Paesi Nato, in particolare polacchi, l’Ucraina è già piena).

Ma la notizia dell’invio dei commandos afghani ha destato in noi un interesse ulteriore. Anzitutto per la paga che percepiranno, riferita da Responsable Statecraft: 1500 dollari al mese.

Ecco, nel composito novero degli aiuti all’Ucraina elargiti da tanti Stati, tra cui il nostro, sono presenti anche questi capitoli di spesa, cioè la paga dei mercenari, che è ovviamente variabile, dal momento che un marines veterano della guerra irachena percepirà un salario ben più alto. Non si va a rischiare la pelle gratis, men che meno per ideali buoni solo per la propaganda.

 

La sinistra fama dei commandos afghani

L’altro corno di questa notizia è che i commandos afghani che gli Stati Uniti si apprestano a mandare in Ucraina hanno una fama alquanto sinistra, che val la pena di essere raccontata.

Dei commandos afghani che operavano al soldo della Cia nel corso della lunga occupazione americana di Kabul ce ne siamo occupati al tempo del ritiro delle forze Usa dal Paese asiatico, spiegando come fossero stati evacuati non tanto per ragioni umanitarie, quanto perché potevano “risultare utili in qualche guerra sporca del mondo“. Non fummo profeti, semplice buonsenso.

La storia di questi commandos è stata riferita da The Intercept, sito al quale rimandiamo per i dettagli del caso, il quale raccontava di come queste unità si muovessero nel territorio in modalità invisibile, uccidendo senza scrupoli donne e bambini che nulla avevano a che fare con la guerra in corso contro i ribelli.

Ma l’aspetto più inquietante riguardo i militari afghani è il loro vizietto, che li porta ad abusare dei bambini. A denunciare la pedofilia dilagante tra il personale militare afghano durante la lunga occupazione statunitense non è stato un qualche oscuro sito cospirazionista, ma l’autorevole New York Times, che riportò le testimonianze di alcuni soldati americani che avevano provato a denunciare tale perversa pratica, venendo silenziati dai loro superiori (alcuni di essi sono stati anche uccisi).

La denuncia del New York Times portò addirittura l’U.S. Army ad aprire un’inchiesta interna, che accertò alcuni casi di pedofilia senza però rendere pubblici i risultati finali della stessa (sempre se l’inchiesta ha continuato il suo corso), i quali sono stati procrastinati sine die.

I soldi inviati all’Ucraina serviranno anche per le paghe di questi tagliagole pedofili, con buona pace degli ideali sottesi alla lotta degli Stati liberi contro l’autoritarismo.

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