REGNA MELONI / OPPOSIZIONE DURA DA 5 STELLE E PD DE-LETTIZZATO

Il peggio del peggio è successo. Al di là di ogni più catastrofica previsione.

Fa davvero impressione vedere la cartina geografica italiana tutta tinta di celestone, con quasi invisibili macchioline rosse (Pd) e gialle (5 Stelle). Segno della stravittoria con sfondamento del centro-destra-destra a tutta trazione meloniana.

Mentre la Giorgia nazionale fa i tripli salti mortali con avvitamento, e Silvio Berlusconi risorge come al solito dalle sue stesse ceneri come l’araba fenice, esce dalle urne con la coda tra le gambe il capo Lega Matteo Salvini, che nonostante la figura   barbina decide di restare saldamente al suo posto: provvederanno forse gli altri a ‘scarrocciarlo’.

Non fa più gli occhi di tigre il bocciato numero uno, Enrico Letta, che farebbe bene a prendere il primo treno per Parigi, dove alla Sorbona forse un posto come usciere glielo trovano ancora. E invece vuol restare, “per spirito di servizio”, fino al congresso, dove non avanzerà – ha osato dire – la sua candidatura.

Pazzesco il solo pensarlo.

 

IL SUICIDIO SCIENTIFICO DI LETTA

Enrico Letta

Cominciamo quindi la breve analisi del suicidio annunciato proprio dall’Autore: suicida e killer in pari tempo, da Guinness dei primati, capace di radere al suolo la ‘fu’ sinistra, di ottenere il peggior risultato nella storia elettorale del nostro Paese.

E ha mostrato anche una buona dose di vigliaccheria, l’ormai ex segretario del Pd, quando ha per ben tre volte, nel corso della sua breve conferenza stampa, addossato tutte le colpe e le responsabilità a Giuseppe Conte. “Tutto nasce qui, con l’uscita di Conte e la caduta del governo Draghi”, le sue parole.

Vero esattamente il contrario. Perché tutto nasce dall’uscita ‘pilotata’ (dal premier Draghi) di Luigi Di Maio dai 5 Stelle, dalle trame ordite dall’ex capo della BCE con lo stesso Beppe Grillo per far sloggiare Conte dalla segreteria 5 Stelle e per i continui rifiuti dello stesso ex premier a prendere in considerazione i ‘punti’ base presentati più volte da Conte per proseguire nell’azione di governo.

Inevitabile, a quel punto, dopo i tre ceffoni ricevuti, l’uscita fortemente voluta da Conte da un esecutivo sempre più fantasma, lontano mille miglia dagli italiani e dai loro reali bisogni, proprio mentre il Paese stava precipitando nel baratro.

La lacerante sconfitta del Pd griffato Letta ha un nome ben preciso, ‘Agenda Draghi’, che l’ex professore della Sorbona ha voluto abbracciare e sottoscrivere anche nelle virgole. Lo stesso faro che ha illuminato la via del tandem Calenda-Renzi: sognava un risultato a due cifre e invece resta al palo di un 7 e qualcosa per cento (guarda caso, tre partiti quasi appaiati: Lega, Forza Italia, Calenda-Renzi).

 

Giuseppe Conte

E pensare che tutti i destini italiani parevano ruotare intorno alla mitica Agenda Draghi: che non solo ha portato sfiga all’Italia ma anche a tutti i partiti che l’hanno tanto amata e usciti clamorosamente sconfitti dalle urne.

Passiamo ad alcuni emblematici sfracelli sparsi lungo la penisola.

La hit del peggio va di diritto al risultato uscito dalle urne dell’ex Stalingrado rossa d’Italia, Sesto San Giovanni a Milano: Isabella Rauti, figlia del super nazi-fascista e ideologo del Movimento Sociale ai tempi di Almirante, doppia il Pd Emanuele Fiano, di origini ebree. Da brividi.

Le roccaforti toscane ed emiliane escono terremotate. Strabattuto l’ex potente, per anni, capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci. Mentre a Bologna l’unico a stravincere, con la maglietta del Pd, è il super Dc per una vita Pierferdinando Casini, per il quale i mandati parlamentari non finiscono mai.

Ha ragione Massimo Cacciari: “Pd in macerie, totalmente da rifondare. Letta ha voluto giocare a briscola con le regole dello scopone”.

Come è stato infatti possibile mai un errore così clamoroso? Non aver neanche lontanamente capito che, con la (non)strategia adottata il Paese veniva letteralmente consegnato alla Destra, un cadeau così ben infiocchettato? Che pur non raccogliendo un fiume di voti (il 44 per cento) la Destra si sarebbe aggiudicata un mare di seggi, tanto da super blindare sia la Camera che il Senato?

Ci vorrebbe solo un miracolo al contrario, un improvviso e immotivato impazzimento di Salvini o di Berlusconi, per mettere a repentaglio il fortino costruito con grande abilità tattica da lady Meloni. Che, come un perfetto Mago, ha infilato tutti – avversari e alleati – in un sacco, rendendoli del tutto inoffensivi.

 

PER UN DIVERSO FUTURO

Passiamo alle speranze, certo non ravvicinate, per un miglior futuro.

E non possiamo che parlare di 5 Stelle, per poi tornare (e chiudere il cerchio) di nuovo con il Pd.

Contro tutto e contro tutti, a Conte è riuscito un vero miracolo, organizzato in poche settimane. Ridare una buona parte dell’identità perduta al Movimento, per fargli acquistare – come ha detto commentando i risultati del voto – la fisionomia dell’unica forza progressista in campo e, da domani, l’unica con le carte in regola per lottare contro tutte le diseguaglianze.

Luigi Di Maio

Va prima di ogni cosa rivolto un grazie di cuore a Giggino Di Maio al quale è riuscito un triplo, prodigioso colpo: togliere il disturbo e uscire dal Parlamento, non raggiungere che un inesistente 0,5 per cento con la sua formazione della quale non ricordiamo neanche il nome, ripulire in un baleno i 5 Stelle di quelle scorie tossiche rappresentate dalla sua presenza e da quella dei suoi 60 accoliti. Sembrava una tragedia, un dissanguamento fatale: invece, si è trattato di una terapia rigeneratrice, come aver riossigenato il sangue infetto con un colpo di bacchetta magica.

Strasconfitto nel suo collegio di Fuorigrotta (forse al ‘Maradona’ c’è sempre un posto come steward ad attenderlo), strabattutto dal ministro 5 Stelle all’Ambiente, l’ottimo Sergio Costa.

E proprio a Napoli la performance dei pentastellati è da mille e una notte: 40 per cento di voti in città, addirittura oltre il 60 per cento nelle periferie sempre dimenticate da tutti, come a Barra e   a Secondigliano.

Un gran bottino al Sud, con ben 6 Regioni dove sventola il vessillo dei 5 Stelle. E’ da qui che può nascere la riscossa per una vera, autentica, nuova sinistra. Dove i diritti sono stati storicamente calpestati, nel migliore dei casi fatti calare dall’alto quali prebende, regali, concessioni, favori per i ‘clientes’, come per decenni hanno fatto prima i laurini poi i democristiani. Una città eternamente ‘sgovernata’, anche dall’ultimo sindaco, il Pd Gaetano Manfredi, un autentico ectoplasma dentro una Napoli immobile, paralizzata, ossificata.

 

Ed allora eccoci all’unica prospettiva possibile. L’avevamo già scritto settimane fa ed ora è arrivato il momento: il Pd deve spaccarsi come una mela; la parte sana, volta al nuovo, realmente progressista, che non ha dimenticato gli insegnamenti politici e morali di un Enrico Berlinguer, deve riprender forza, vigore, identità. A mare l’Agenda Draghi e tutte le genuflessioni di anni verso le lobbies di potere: di nuovo a fianco degli ultimi, dei senza lavoro, dei sottoccupati, dei pensionati, dei senza diritti.

Il congresso annunciato per primavera (ma speriamo possa svolgersi molto prima, con tutte le urgenze che premono) dovrà sancire la nascita di un nuovo Pd, ripulito da tutte le scorie tossiche (anche in questo caso), pronto a scendere in campo, dare battaglia, dar corpo ad un progetto nuovo, un nuovo modello di società e di sviluppo.

Beppe Grillo

Partner, of course, i 5 Stelle di Conte, a loro volta depurati dalla presenza del padre-padrone Beppe Grillo che si dedicherà a far crescere il suo nespolo.

Intorno al progetto potranno ritrovarsi quelle forze sparse che, ad esempio in queste elezioni, si sono presentate divise, come tanti frammenti.

E poi il mondo del volontariato, dell’associazionismo, un universo da riaggregare e rimotivare.

Dulcis in fundo, il tasto sul quale abbiamo sempre battuto e ora lo facciamo con ancora maggior forza e convinzione. Lo sconfinato popolo degli astenuti, oggi cresciuto di quasi il 10 per cento, avendo superato di poco, il numero dei votanti, la soglia del 60 per cento. 4 italiani su 10 sono schifati dai partiti di oggi e dalle loro indecenti proposte politiche. Un esercito di ‘dormienti’ che va assolutamente svegliato e motivato: appunto con idee chiare e forti, marcatamente a favore dei deboli e di chi non ha, per una redistribuzione equa delle risorse, per una finalmente vera – e possibile – giustizia sociale.

Non c’è tempo da perdere. Perché va organizzata un’opposizione forte, fortissima, consapevole, incisiva a questa marea nera che si appresta a governare.

Che il color rosso torni nei nostri cuori.

 

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