Pericolose rimembranze

 

[Era il tragico 43 dell’Italia fascista].

Pericoloso essere figli di un padre ostile al regime, nel mirino degli squadristi per reiterati ‘no’ agli ordini di condividere le atrocità del Ventennio con il tesseramento al partito unico di Mussolini. Patire la fame era il male minore, ma già una menomazione della normalità. Marcella, moglie di Luigi, compensava il vuoto della dispensa minima misura, da deperimento organico, con la fatica di dieci chilometri a piedi per tornare ogni giorno a Monteverde Vecchio con un litro di latte appena munto in una fattoria dell’Agro romano.

Il calvario dell’abitare qua e là in media era l’esilio di almeno due volte al mese in case di compagni, rifugi per impedire agli squadristi di catturare Luigi. Sotto casa, di volta in volta sostava un carretto recuperato chissà, su cui caricavamo il poco necessario per la sopravvivenza. Nottetempo ci seguiva nella nuova tappa di un vivere da incubo.

Giocavano nel viottolo accanto alla casa del Belotti, socialista in incognito, con tessera del fascio per cautrla, in via Simone Martini, a poche decine di metri dalla ferrovia, obiettivo della Raf e di bombardieri americani. Una mattina particolare, per il calendario il 20 giugno del ’43, una bomba sganciata da un aereo incursore, miracolosamente inesplosa, si era interrata sotto la ‘nostra’ palazzina. Cademmo in terra per lo spostamento d’aria mentre assistevamo impauriti alla retata di tedeschi e fascisti italiani, che trascinavano in un loro automezzo blindato un uomo spintonato, colpito con il calcio dei fucili per scoraggiare i tentativi disperati di liberarsi.

Quanti bruschi risvegli nel cuore della notte. Al suono delle sirene, al primo sinistro rombo degli aerei su Roma, tutti giù dal letto e corsa affannosa lungo la ripida discesa lungo pendio in direzione della grande grotta rifugio dove centinaia di romani si ritrovavano fino ad allarme finito.

Vivi per miracolo in quella notte di fuga dalle bombe degli alleati. Avvertimento tardivo delle sirene, in ritardo la corsa per raggiungere il rifugio: da un aereo in picchiata, raffiche di mitragliatrici, anche su di noi, in folle corsa per trovare riparo.  Marcella colpita a un braccio e poco più avanti di noi Renato Sperandei, vicino di casa, in terra,  il petto squarciato da proiettili, braccia spalancate, come a dire “Io che c’entro?” Accanto Elvira la moglie, disperata.

Marcella nella caverna-rifugio non riusciva a contenere il tic di accarezzare l’anulare della mano sinistra, dove aveva portato la fede prima di essere costretta a ‘donarla’ al fascismo.

Questo l’incubo della tormentata vigilia del voto, l’ossessione di chi dà per buone le profezie delle chiromanti su un’Italia spogliata della democrazia. Oggi fiato sospeso per un evento  spartiacque: democrazia contro sovranismo, Europa o Putin-Orban-Duda. In Italia, se non fosse ‘desta’, uno spaventoso remake postfascista. 

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