MESSICO / LANCIA LA PROPOSTA DI UN COMITATO PER LA PACE IN UCRAINA 

Parte dal Messico presieduto dal ‘companero’ Andrés Manuel Lopez Obrador una forte istanza di pace in grado di far decollare i negoziati per arrivare ad un cessate il fuoco in Ucraina.

In occasione di un discorso tenuto per celebrare il 212° anniversario dell’indipendenza del suo Paese, il capo dello Stato ha lanciato la proposta, che verrà a breve portata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dal Segretario per gli Affari Esteri, Marcelo Ebrad. L’idea è di cercare “urgentemente” – ha sottolineato Obrador – un accordo per fermare la guerra in Ucraina e raggiungere una tregua di almeno cinque anni tra tutte le nazioni.

Dovrà essere costituita una commissione ad hoc, della quale facciano anche parte il primo ministro indiano, Nereda Modi, Papa Francesco (o un suo incaricato speciale) e il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Gutierrez.

E non ha avuto certo parole morbide proprio nei confronti delle Nazioni Unite, il presidente messicano, accusate senza peli sulla lingua di essere attualmente “un organismo paralizzato, preda di un formalismo e di un’inefficacia politica che la confina in un ruolo meramente ornamentale”. Parole sacrosante.

Ecco alcune tra le più significative frasi pronunciate da Obrador, eletto presidente del Messico il 1° dicembre 2018, alla guida del ‘Movimento Rigenerazione Nazionale’ che puntava a tre obiettivi: combattere la corruzione, creare uno ‘Stato sociale’, pacificare il Paese.

“Bisognerebbe cominciare a chiedersi se la guerra non si sarebbe potuta evitare e se le Nazioni Unite e i politici delle grandi potenze hanno mancato alla loro responsabilità di promuovere il dialogo tra le parti per risolvere pacificamente la controversia. La verità è che è stato fatto poco o nulla a questo proposito. Confido che la nostra iniziativa possa avere successo, ma qualunque cosa accada, non sarà mai vano lottare per la giustizia e per la pace”.

“La missione di pace dovrebbe cercare di ottenere immediatamente la cessazione delle ostilità in Ucraina e l’avvio di colloqui diretti con il presidente ucraino Zelensky e con il presidente russo Putin; inoltre, questo comitato, secondo la nostra proposta, dovrebbe raggiungere anche un accordo multinazionale per una tregua di almeno cinque anni approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e che preveda l’immediata sospensione delle azioni militari e delle provocazioni, nonché dei test nucleari e missilistici”.

“Crediamo che in questo modo si possa creare un’atmosfera di pace e tranquillità che permetterà ai governi di dedicare tutti i loro sforzi per affrontare i pressanti problemi di povertà, salute e violenza di cui soffrono tutti i continenti e per affrontare il fenomeno migratorio in modo umanitario e fraterno”.

“La politica è l’unico strumento che abbiamo per evitare la guerra: tuttavia, i gruppi di interesse che occupano posizioni di potere governativo o economico si preoccupano di indirizzare la politica verso il conflitto armato e, una volta commesso l’errore, invece di rimediare, scelgono di perseverare, senza curarsi delle sofferenze che infliggono all’umanità e dei danni che causano alla stabilità delle nazioni e al benessere delle società”.

Una evidente accusa alla politica di Washington, sempre più aggressiva e bellicista. Che poi continua con ulteriori argomenti.

“Ci chiediamo come sia possibile che i governi della NATO abbiano portato l’Ucraina a questo bivio in un momento così cruciale, mentre inviano sempre più armi e sanzionano la Russia, aumentando così la portata del conflitto, causando ulteriori sofferenze ai suoi abitanti e aggravando la crisi mondiale con l’inflazione. Questo è il motivo base della guerra, delle sanzioni e delle massicce spedizioni di armi al regime di Kiev. Azioni che hanno raggiunto un’ulteriore dose di irrazionalità al conflitto in corso”.

“Senza pace non ci sarà né crescita economica né giustizia sociale. Governare non deve essere un esercizio di egemonia per il gusto di dominare, ma soprattutto la ricerca del benessere del popolo. Il potere ha senso e diventa una virtù solo quando è messo al servizio degli altri”.

Parole del tutto sconosciute nello scenario politico europeo, e soprattutto in quello italiano, preso nell’isteria pre-voto.

 

Paco Ignacio Taibo II. In apertura, Obrador

Ecco come vede la situazione messicana lo scrittore, giornalista e attivista politico Paco Ignacio Taibo II, che da tre anni dirige il ‘Fondo de Cultura Economica’, una delle principali case editrici del Paese e lavora nel governo Obrador.

“E’ in corso un cambiamento politico molto profondo, dal piano economico a quello sociale e culturale. Oggi c’è un governo chiaramente di sinistra che vuole fare gli interessi della maggioranza dei messicani, ma che deve fare i conti con un apparato legale, burocratico ereditato dal passato. Noi facciamo parte dell’ala più radicale della coalizione. Attraverso il ‘Fondo de Cultura Economica’ stiamo sprigionando tutta la forza insita nel nuovo stato per fare cose sorprendenti nel mondo del libro, per consentire al maggior numero possibile di cittadini di avere accesso alla lettura, rompendo i tradizionali schemi della distribuzione e portando il libro direttamente nelle mani del lettore, senza lasciarlo negli scaffali delle istituzioni. Abbiamo distribuito gratuitamente oltre 5 milioni di libri. Per questo, abbiamo creato una rete di librerie, abbassato i prezzi dei volumi, inventato nuove collane e soluzioni originali come le moto-librerie o le librerie itineranti. E abbiamo aperto oltre 10 mila sale di lettura nelle quali ogni giorno si organizzano attività, si discute. Uno sforzo titanico”.

E aggiunge: “Uno degli strumenti più potenti sono i laboratori sui libri di storia. Nonostante l’infrastruttura molto corrotta, ereditata dall’epoca priista, per noi, in Messico, è stato facile disegnare una prospettiva latinoamericana per la lettura, che si va consolidando. Abbiamo aperto librerie praticamente in tutta l’America latina, dal Cile al Venezuela, con la catena delle ‘Librerie del Sur’. Adesso ne stiamo aprendo una a Cuba, altre tre in Colombia, in Honduras, Ecuador, Bolivia, Guatemala… Latino-amerizzando il dibattito, rompiamo il monopolio editoriale della Spagna, che ha sempre preteso di decidere quel che si deve leggere nel nostro continente”.

 

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