ITA AIRWAYS / DECOLLA L’OPERAZIONE LUFTHANSA  

La tedesca ‘Lufthansa’ preme sull’ancora premier Mario Draghi per accelerare i tempi della trattativa che possa portare in tempi brevi all’acquisto della nostra compagnia di bandiera, la mai realmente decollata ITA, afflitta da mille problemi derivanti dalle scellerate decisioni passate.

Ecco le news. Il Ceo del colosso europeo del volo, Carsten Spohr, nel corso dell’ultima conference call con gli analisti per la presentazione dei risultati dell’ultimo trimestre 2022, parlando della proposta di acquisto di ITA Airwaysda parte di Lufthansa-Msc, ha confermato che, “indipendentemente dagli sviluppi politici della situazione italiana, ITA ha bisogno di un partner e noi pensiamo di essere quello giusto”, e tutto ciò “a prescindere da quale partito o quale coalizione governerà il paese dopo le elezioni del 25 settembre”.

Ed aggiunge, con piglio teutonico: “Per completare questa operazione bisogna essere veloci. La nostra pazienza non è infinita”. Insomma, un ultimatum o poco di manca.

Coglie la palla al balzo la Lega di Matteo Salvini. Commenta infatti a botta calda il genuflesso deputato Edoardo Rixi, componente della Commissione trasporti e responsabile del dipartimento infrastrutture del Carroccio: “L’offerta di Msc-Lufthansa per l’acquisto di ITA Airways rappresenta la migliore prospettiva per la compagnia aerea nazionale e l’individuazione di un partner industriale è condizione necessaria per garantire al vettore un solido piano di sviluppo per i prossimi anni”.

Carsten Spohr

I conti di Lufthansa, appena presentati, sono improntati ad un forte ottimismo. Il fatturato è quasi triplicato, raggiungendo il top di quasi 9 miliardi di euro soprattutto per le vendite record di biglietti. Nel secondo trimestre 2022 la società rivede un utile: 260 milioni di euro, rispetto ad una perdita di oltre 750 fatta segnare l’anno precedente. In totale, le compagnie che fanno capo al maxi gruppo tedesco hanno fatto viaggiare, tra gennaio e giugno 2022, ben 42 milioni di passeggeri, il quadruplo rispetto al 2021 (appena 10 milioni).

E anche sul fronte delle assunzioni le previsioni sono molto positive. Continua Spohr: “Stiamo facendo tutto il possibile per espandere il posizionamento premium delle nostre compagnie aeree e soddisfare in pieno le richieste dei nostri clienti. Continueremo a rafforzare la nostra posizione di numero uno in Europa. Non solo un forte ritorno alla redditività, il sensibile miglioramento dei nostri prodotti e delle nostre offerte, l’allargamento dei potenziali clienti, ma da adesso in poi anche un deciso incremento del personale”.

Secondo i programmi stilati, infatti, Lufthansa assumerà ben 5.000 nuovi dipendenti, la gran parte per l’adeguamento dei livelli di personale nelle operazioni di ampliamento dell’orario dei voli: a quanto pare – secondo i tecnici – “le aree chiave sono la cabina di pilotaggio e la cabina di Eurowings ed Eurowings Discover, il personale di terra negli aeroporti, i lavoratori di Lufthansa Technik e il personale di catering LSG”.

Non basta. Perché, se le cose andranno per il verso giusto, Lufthansa-Mscprevede una massiccia quota di assunzioni anche per il 2023: altri 5.000 posti.

Ma torniamo a casa nostra. E alla stretta finale per la trattativa d’acquisto di ITA Airways.

Quali saranno le reali cifre dell’operazione?

Alla nostra compagnia rimarrà una quota azionaria e di quale dimensione, solo simbolica o che?

Visti i grandi programmai espansivi sotto il profilo occupazionale, non ci saranno tagli o esuberi in tutta l’operazione?

Bene saperle queste cose, vista anche l’inusitata fretta a concludere palesata dal Ceo Sphor.

Insomma, sarebbe il caso che, nonostante la crisi di governo, il premier Draghi e il nostro ministro dei Trasporti non rimanessero zitti e muti, come pugili suonati, ma fornissero agli italiani alcune informazioni su un’operazione tanto delicata.

Visto che in passato ne sono successe delle belle… Sempre a danno dei consumatori, e per la gioia di tanti furbetti che hanno allegramente saccheggiato le casse del nostro erario.

 

A questo proposito, si proponiamo la lettura di un interessante commento alla “Alitalia story”. Per capire meglio il passato e sapersi orientare in modo più efficace in merito alle scelte future: che sono già ‘domani’…

 

 

ITA AIRWAYS E L’ENNESIMO REGALO ALLE MULTINAZIONALI

Ita Airways sarà dunque privatizzata come previsto, e si tratterà dell’ennesimo esempio di soldi “investiti” dallo Stato per salvare un pezzo di compagnia al fine di conferirla, con tutti i guadagni del caso, ad altri privati. Il “socialismo per i ricchi” prosegue e nulla importa se Lufthansa o qualsiasi sarà l’acquirente non sarà interessata a creare una compagnia che sia strategica per lo sviluppo economico delle aree bisognose bensì ad accaparrarsi viaggiatori da dirottare negli hub e nelle rotte internazionali di sua convenienza.

Ormai fare beneficenza alle grandi compagnie private sembra l’unico modo di poter dire di aver “favorito una politica industriale”. Eppure Alitalia dimostra esattamente l’opposto.

È importante smontare la leggenda per cui Alitalia sarebbe stata gestita male soprattutto “dallo Stato” – e non, piuttosto, dai capitani coraggiosi che sono sopraggiunti dopo la privatizzazione. Non tanto perché la gestione statale della compagnia fosse assimilabile ad una gestione collettivista del servizio, anzi, l’interventismo degli anni ’30-’70 coincise con il bisogno, tipico dei capitali privati in una fase medio-avanzata dello sviluppo capitalistico, di sostenere a livello pubblico e coordinato l’efficientamento del sistema industriale e dei trasporti. Tuttavia, il compromesso sociale della “programmazione economica” del secondo dopoguerra in Italia aveva tra i suoi effetti il moderare l’utilizzo caotico e speculativo del grande capitale privato, il cui carattere parassitario e destabilizzante per i servizi e i trasporti pubblici sarebbe divenuto evidente dopo il crollo del deterrente geopolitico rappresentato dal socialismo reale e di una autentica opposizione di classe interna e dopo il superamento di quella fase del capitalismo in favore di un’accumulazione basata maggiormente sulla concentrazione e sulla libertà globale di circolazione dei capitali, tendenze tipiche del mercato unico europeo e, in generale, del capitalismo degli ultimi tre decenni.

Alitalia nacque nel 1957 per mezzo dell’IRI, ente pubblico economico che raccoglieva tramite obbligazioni e prestiti bancari il risparmio privato per canalizzarlo nel controllo dei maggiori settori industriali. Esso fuse due compagnie preesistenti nate con capitale britannico ed USA, ma poi ritiratesi per disinteresse economico. Fino al 1988, il saldo tra gli utili negli anni ’50, ’60, primi ’80 e le perdite degli anni ’70 (dovute alle crisi petrolifere del 1973 e del 1979, con gli aerei che sono alimentati a benzina), fu sostanzialmente nullo. Nel corso di 30 anni, la gestione pubblica costruì una compagnia internazionale, strategica per i voli intercontinentali, utile all’indotto aerospaziale.

A fine anni ’80 sopraggiunse l’era delle liberalizzazioni delle linee aeree e la concorrenza dell’alta velocità sulle tratte interne e dalla fine degli anni ’90, inoltre, le low cost iniziarono a monopolizzare il mercato continentale. Invece di prendere atto della concorrenza al ribasso di queste compagnie (come vedremo) e regolamentare nuovamente il mercato o, almeno, rilanciare la compagnia di bandiera tutelando i beni pubblici con un riposizionamento strategico sulle tratte intercontinentali, l’unica preoccupazione della classe dirigente italiana divenne PRIVATIZZARE. Si cominciarono a cedere quote del capitale con Alitalia sotto l’IRI, nel 2000 la maggioranza di controllo passò al MEF, dal 2007 si privatizzò del tutto e si passò dai “patrioti” della cordata CAI di Colaninno (dove c’era un po’ di tutto: le banche, i Benettoni, i Riva, eccetera), alla gestione con Etihad (guidata da Luca Cordero Di Montezemolo) dal 2014. La gestione privata di Alitalia rappresenta bene sia la miopia della classe politica statale che la semplice incapacità gestionale di quelli che sono considerati i migliori imprenditori del Paese, i quali non solo hanno messo costantemente sotto attacco diritti acquisiti e casse pubbliche ma hanno anche perduto opportunità di efficientamento strategico anche solo dal mero punto di vista “aziendalistico” (quello che avrebbe dovuto essere l’obiettivo, a sentire le loro dichiarazioni), come la partnership con KLM (che poi farà Air France) e la trasformazione di Malpensa in un hub europeo. La politica imprenditoriale della gestione privata ha cercato di perseguire profitti con il minimo sforzo innovativo e con servizi volutamente costosi sui mercati nazionali ed europei con meno aerei, sempre più vecchi. Il risultato è stato voli mezzi vuoti e voragini nei bilanci.

Tutto questo si riflesse a livello contabile: dei 7,4 miliardi di oneri dal 1974 al 2014 (a cui andrebbero aggiunti 900 milioni di “prestito ponte” del 2017 per i fallimenti dell’ultima gestione privata), 1,8 miliardi (il 24%) riguardano i primi 25 anni di ultima gestione IRI (1974-1999), 1,5 miliardi (il 20%) i sette anni del controllo a fini privatizzatori del MEF (2000-2007), i restanti 4,4 miliardi (il 56%) gli altri sette anni di gestione privata fino al 2014. Considerando gli ultimi anni con il prestito ponte, le gestioni private dell’Alitalia in 12 anni hanno rappresentato il 64% del totale complessivo degli oneri netti negli ultimi 45 anni.

È chiaro che il criterio dell’equilibrio contabile non sia quello giusto per determinare l’utilità pubblica di un servizio, il quale deve avere come obiettivo la creazione di esternalità positive nello sviluppo umano, sociale e infrastrutturale a prescindere dai criteri di bilancio. Tuttavia, questi numeri smentiscono significativamente, perlomeno, la retorica dell’inefficienza industriale della gestione programmatica di Alitalia rispetto alla gestione puramente privata e capitalistica, in un contesto dove comunque tale gestione era sempre sottoposta a inevitabili logiche e vincoli di tipo aziendalista. La maggiore responsabilità per lo smantellamento e il crollo della qualità della compagnia va dunque attribuito alla decisione politica di accantonare qualsiasi idea di una reale pianificazione industriale finalizzata a scopi pubblici e alla rapacità degli investitori privati, i quali hanno consapevolmente tentato di spolpare una realtà ormai gettata in pasto ad una competizione.

Proprio come continua ad accadere oggi.

Agitazione e Propaganda – Domenico Cortese

Lascia un commento