Restituiteci il sud

L’Italia denuncia antica dipendenza dallo Stato del Vaticano, nei secoli consocio dei big mondiali, applicato ad accumulare ricchezze non sempre lecitamente, esposto come tante altre centrali di potere alle lusinghe dell’accaparramento, impegnato nel colonialismo religioso e in alleanze politiche che Cristo avrebbe spedito all’inferno (complicità con il nazismo). Negli annali del clero non c’è spazio per la rivendicazione dell’‘Italia ‘una’, dalle Alpi all’Etna.   Nell’ammirevole interpretazione del ruolo di papa rivoluzionario, di Bergoglio, c’è amore per la giustizia, rispetto e solidarietà per gli ultimi. Poco, quasi nulla, per farsi carico dell’odioso discrimine, delle due Italie, la metà da Roma in giù figliastra del Bel Paese. C‘è chi, con alterigia del   geograficamente privilegiato, solo perché prossimo all’Europa dell’economia forte, alimenta egocentrismo, presuntuosa quanto ingiustificata superiorità, aggressivamente ostile al Sud.  Il Sud dell’Italia è una questione europea: se non riparte non c’è la ripresa. La sintesi confindustriale dell’antitesi Nord-Sud: senza la ripresa del sud, è crescita nulla dell’Italia e il Mezzogiorno è un’occasione perduta per l’Europa. Lo sviluppo equilibrato, la riduzione del divario con il Nord, non solo di reddito e occupazione, sono centrali. Ma la transizione energetica ha bisogno di un grande hub delle rinnovabili e il Mezzogiorno (produce già il 50 per cento dell’energia pulita italiana) è il candidato naturale. Il previsto aumento dei noli marittimi, le rotte mediterranee, la dislocazione dei nostri porti, i retroporti, le interconnessioni ferroviarie e stradali da e per il Sud, saranno sempre più determinanti. A Bruxelles ne sono consapevoli e destinano all’Italia ‘dimenticata’ ingenti risorse.  La qualità del dibattito italiano su questi temi è di una povertà disarmante, aggravata dalla mancanza di lungimiranza degli enti locali, spinti da volontà di rivincita della marginalità subita più che da progetti d’investimento sul futuro. Nel Nord, continuano a prevalere i pregiudizi.

Un tentativo di creare solidarietà nazionale, l’ha compiuto nei giorni scorsi un   convegno a Maratea. Affermata la priorità del Sud in quanto piattaforma europea nel Mediterraneo, ma si apre anche la drammatica contraddizione tra gli obiettivi del piano europeo per la ripresa e in neo egoismo del Nord con la richiesta di autonomia differenziata delle regioni settentrionali, in pratica un’opzione sui finanziamenti in arrivo da Bruxelles.  Apprezzabile la spinta della Carfagna per un Sud operativo, mentre la collega Gelmini asseconda gli egoismi nordisti, esempio di opposti di due ministri di Forza Italia.

Tutto sembra destinato a non cambiare: il prodotto interno lordo pro capite del Sud è solo il 55 per cento di quello del Nord. Se L’occupazione femminile, in Italia è al 50 per cento, nel Mezzogiorno è ferma al 30. Solo il 28 per cento delle imprese italiane è al Sud. Non ci sono le condizioni perché sia conveniente, per il capitale privato ed estero, investire nel meridione. Eccezione è il terzo posto della Campania per la presenza di start up innovative.

L’obiettivo dovrebbe essere l’incremento nel Mezzogiorno del made in Italy nei settori dell’aeronautica e della farmaceutica, con nuove filiere industriali (geotermia, energia rinnovabile). Gli incentivi fiscali possono confliggere con l’idea che al Sud è possibile un’imprenditoria normale, ma in sua assenza dalle regioni meridionali espatriano 130 mila abitanti, molti giovani laureati. Causa del divario produttivo tra Nord e Sud è anche nell’inefficienza operativa dell’intervento pubblico, nello scarso contributo dei privati. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), strumento indispensabile per dotare il Sud di una rete connessa di infrastrutture e migliorare la qualità dell’azione pubblica. Ferruccio de Bortoli, autore di un esaustivo articolo sul tema Nord-Sud (Corriere della Sera) si chiede quanto tempo ci vorrà ancora per colmare il gap tra Nord e Sud e si risponde: “Molti decenni se la politica continuerà a privilegiare il ‘triangolo industriale’”.

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