Parità, come il bicchiere mezzo pieno, mezzo vuoto

Dal ragionamento che segue è d’obbligo escludere i tanti giornalisti non responsabili di eccessi e omissioni e anzi coraggiosi, liberi, indipendenti, laboriosi. L’onestà, se è dote custodita come un tesoro, mai disconosciuta o interrotta da deroghe anche nel sopraggiungere di emergenze, è un bene prezioso quasi sempre trasmesso dai genitori ai figli: soprattutto se è protagonismo per trasmissione ereditaria, non consente di farsene gran merito, ma si può farvi ricorso ogni volta che episodi della vita la mettono in discussione proponendo la difesa di privilegi personali o collettivi. Da giornalista, consapevole di sollevare un vespaio, di sfidare la casta a cui appartengo da giorni lontani, aggancio la notizia sul travaso dell’Inpgi nell’oceano pensionistico dell’Inps. In ordine sparso alcune ragioni di dissenso e non solo sul versante previdenziale, da sempre autonomo e ora in via di trasferimento al ‘grande fratello’ che gestisce le pensioni dei lavoratori italiani: è un malevolo sospetto l’idea che assorba ob torto collol’Ipgi (che resterà comunque un ente privato) con la garanzia di non sottrarre neppure un euro ai giornalisti, nonostante il gap del rapporto sempre più preoccupante tra occupati del settore contribuenti (sempre meno), e pensionati, (sempre di più). È azzardato supporre che l’incrocio dei due enti sia in dirittura d’arrivo in accelerazione, per la preoccupazione di subire un mezzo fallimento con il deficit di giornalisti in attivo?  Ed ecco la domanda del giornalista pensante: se un caso simile riguardasse un qualunque altro ente previdenziale privato, l’Inps lo assorbirebbe e a quali condizioni? Il dubbio è lecito e getta una luce chiarificatrice sul già lauto pacchetto di privilegi riservati agli operatori dell’informazione. Un passo indietro, Rai, solo uno di tanti esempi possibili: in tempi passati, prima della stretta salutare operata dal settore amministrativo, aerei e treni erano quasi gratis (evidente sudditanza delle rispettive compagnie ai media), sconti del 70% e spettava una tessera d’ingresso gratuito al cinema ad ogni tre cronisti. Gli inviati in trasferta erano compensati ‘a piedi di lista’, ovvero erano autorizzati a dormire in alberghi di lusso a mangiare in ristoranti stellati, avevano diritto al rimborso dei taxi e di ogni altra spesa. In stretto rapporto con la disponibilità o al contrario con il rifiuto di condividere la ‘linea editoriale’ delle testate e il controllo operato sui contenuti dai partiti di riferimento, l’azienda riconosceva premi ‘ad personam’, aumenti, o bloccava le carriere. Alternativa allettante per i giornalisti con alto potere interno (per ‘meriti politici’) era la sovrapposizione di quanto acquisito con il lavoro di redazione, meglio se ai massimi livelli, e sontuosi contratti extra giornalistici, nel ruolo di conduttori di talk show. Uno per tutti il caso di Vespa, già direttore del Tg1, proiettato nel programma campione di longevità “Porta a porta”, ospite di spazi radiotelevisivi per pubblicizzare l’ultimo di decine di libri pubblicati, moderatore di incontri e dibattiti lautamente retribuiti grazie alla notorietà acquisita in Rai. Ecco, nessuna meraviglia se un anello debole del pianeta informazione, l’ente pensionistico in crisi di solidità finanziaria, finisce tra le generose braccia dell’Inps senza ‘pagare dazio’. Un classico confronto è possibile: più privilegiato il giornalismo o la politic? L’esito più verosimile ‘ una ‘bella X’, equo pareggio.

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