Nigeria – riforma petrolifera a metà

La nuova legge, in lavorazione per 13 anni, liberalizza il settore estrattivo per attrarre nuovi investimenti e incentivare la produzione e il consumo di gas naturale. Quello che manca è però un progetto politico ed economico coraggioso e sostenibile. 

 

La pratica del gas flaring (combustione dei gas emessi con l’estrazione del greggio), messa fuori legge dalla nuova normativa (Credit: leadership.ng)

Il 16 agosto il presidente nigeriano Muhammadu Buhari ha sottoscritto il Petroleum Industry Act (Pia) la nuova legge di riforma dell’industria del petrolio e del gas che sarà attuata a partire dall’agosto 2022. Il progetto era stato approvato da entrambe le camere dell’Assemblea nazionale un mese prima della firma presidenziale, sebbene avesse fatto la sua prima comparsa in parlamento già nel lontano 2008, frenato poi da emendamenti e aspre polemiche da parte delle autorità nazionali e locali, e delle compagnie petrolifere.

Già 13 anni fa, il Petroleum Industry Act era stato pensato per eliminare le dilaganti ambiguità legali e normative dell’industria estrattiva che ne avrebbero impedito lo sviluppo.

Di certo è una riforma che sostiene la liberalizzazione del settore, introducendo meno restrizioni legislative, più competitività e concorrenza, sia nella produzione che nelle attività commerciali, maggiori opportunità di investimento per gli imprenditori locali e stranieri e, presumibilmente, un aumento dei posti di lavoro.

Contestualmente, sebbene, anche a detta dello stesso Buhari, la riforma favorisca l’innovazione e la diversificazione economica del paese, le disposizioni approvate non sembrano agevolare un serio distacco dall’estrazione petrolifera, ma piuttosto un aumento della produzione e del consumo di gas naturale, come mai fatto finora, con il rischio di abusarne, come già sperimentato con l’oro nero, senza un piano di transizione energetica e trascurando del tutto gli investimenti sulle risorse rinnovabili.

Agevolazioni fiscali e nuove commissioni regolatrici

La Nigeria è il primo paese produttore di petrolio in Africa (1,36 milioni di barili al giorno con un potenziale stimato di 3 milioni), eppure tale risorsa rappresenta solo il 10% del Prodotto interno lordo nazionale.

Forse anche per questo il paese – il governo federale e quelli locali, e le stesse comunità, anche quelle colpite dalla devastazione ambientale, abitativa, economica e sociale connesse all’estrazione del greggio – fatica ad intraprendere una strada diversa rispetto a quella fin qui seguita. Del resto, il petrolio contribuisce al 90% dei guadagni in valuta estera e costituisce la metà delle entrate del governo federale.

La Nigeria non intende, per ora, ridurre la produzione e l’utilizzo dei combustibili fossili e la nuova legge lo dice chiaramente, allorché prevede l’eliminazione della tassa sugli idrocarburi e l’abbassamento delle royalties per i giacimenti e la produzione in acque profonde, e investimenti cospicui per la ricerca di idrocarburi nei cosiddetti “bacini di frontiera”, presenti in varie aree del paese, come i bacini di Anambra, Chad e Sokoto.

Il Pia contempla infatti la creazione di un fondo dedicato alle suddette esplorazioni. Il 30% dei profitti della Compagnia petrolifera nazionale (Nnpc), il 10% delle rendite derivanti dalle licenze di prospezione petrolifera e un ulteriore 10% risultante dalle concessioni minerarie, saranno destinati ai frontier basins.

A schierarsi contro questa misura sono stati soprattutto i governatori e le comunità degli stati del sud, ricchi di petrolio, definendola provocatoria e dispendiosa. I governatori e le comunità del Delta del Niger hanno attaccato anche un’altra disposizione della riforma, quella che prevede l’assegnazione di un misero 3% (rispetto al precedente 2,5%) delle spese operative annuali delle compagnie petrolifere attive nel loro territorio, per lo sviluppo sociale ed economico dell’area. Una percentuale ben lontana dal 10% rivendicato dalle comunità.

I legislatori hanno anche introdotto il divieto di gas flaring (combustione di gas) e delle sanzioni per le compagnie che violeranno la norma, a beneficio delle comunità residenti nei territori coinvolti, oltreché delle emissioni di Co2 in atmosfera.

Nnpc: da pubblico a privato

Sulla carta, la riforma vuole inoltre potenziare il ruolo della Nnpc – ritenuta un ricettacolo di fondi neri e al centro negli anni passati di scandali per vicende di corruzione –trasformandola in una società a responsabilità limitata che pagherà tasse e dividendi ai suoi azionisti: i ministeri delle finanze e del petrolio in primis. Non più un’azienda statale, dunque, ma una società orientata maggiormente al profitto che, nelle intenzioni dei legislatori, dovrebbe garantire più trasparenza e libertà da interferenze politiche.

La nuova Nnpc dovrebbe assicurare anche un maggior controllo su tutte le attività dell’industria del petrolio e del gas, dall’esplorazione alla commercializzazione e alla vendita dei prodotti derivati, tramite l’istituzione di determinate e diversificate commissioni e agenzie regolatrici.

In aggiunta, nelle ultime ore il dibattito pubblico sul Pia è stato monopolizzato dalla questione sussidi. In Nigeria, il prezzo della benzina alla pompa è piuttosto basso grazie ai sussidi governativi sul carburante, tuttavia la generale deregolamentazione del settore estrattivo si regge anche sulla eliminazione di queste sovvenzioni.

Si tratta di un duro colpo per i cittadini nigeriani, in particolare per le fasce più vulnerabili della popolazione. L’annullamento di tali sostegni potrebbe provocare l’innalzamento dei prezzi del carburante e conseguenti violente proteste di piazza, come già successo in passato.

Il governo federale ha per ora annunciato di non voler eliminare a breve i sussidi, sebbene si tratti di una misura indispensabile per arginare il fenomeno della corruzione e che richiede un audace cambiamento culturale e comportamentale da parte dei cittadini nigeriani.

Una riforma «grandiosa» ma incompleta 

Ademola Henry Adigun, esperto nigeriano di politiche nel settore oil&gas team leader del progetto Foster per la trasparenza e la riforma del settore petrolifero, intervistato da Nigrizia, definisce il Pia una riforma «grandiosa», che rende il settore estrattivo più sicuro, chiaro e responsabile. Secondo Adigun «D’ora in poi gli investitori potranno fare progetti di lungo periodo, sebbene il più grande guadagno di cui beneficerà la Nigeria saranno gli investimenti sul gas. La presenza del gas sul mercato crescerà massicciamente e le condizioni fiscali favorevoli incentiveranno tale crescita».

L’esperto plaude anche alle disposizioni relative alla creazione di commissioni e autorità di supervisione e regolamentazione delle attività upstreammidstream e downstream, e alla nuova gestione della Nncp nell’ottica del rafforzamento della governance nel settore e della riduzione degli sprechi e dell’inefficienza.

Riconosce però l’assenza di un piano innovativo di transizione energetica. Su questo punto gli fa eco Caleb Adebayo, avvocato nigeriano e collaboratore del progetto Templars, esperto di ambiente e transizione energetica, che nell’editoriale del Vanguard del 20 agosto scorso riconosce e sostiene la necessità di potenziare il settore del gas, dubitando però dell’esclusivo utilizzo di questa risorsa come fonte di energia.

Secondo Adebayo è importante promuovere gas e risorse rinnovabili contemporaneamente, per assicurare a tutti l’accesso all’energia pulita. Adebayo aggiunge: «La Nigeria ha ampia e gratuita disponibilità di risorse come il sole, il vento e i rifiuti organici, ed è scoraggiante doversi confrontare con paesi e comunità che incentivano l’utilizzo delle risorse rinnovabili e sperimentano nuove tecnologie sostenibili, mentre in Nigeria c’è una lotta quotidiana per la fornitura di energia elettrica e di altri servizi di prima necessità».

 

 

FONTE

Articolo di Anna Loschiavo 

per NIGRIZIA

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