Kabul talebana, nuovo Vietnam. A vincere sono però i ‘cattivi’

La storia replica sé stessa e stavolta a far le spese di un leggendario paradosso è lo sconcertante Golia della Terra, abbattuto come un traballante birillo dal Davide di turno. In chiaro: la sinergia di Paesi ad altissima potenza militare, si sfalda e ammette di subire la resa senza condizioni imposta dalla feroce, disumana marmaglia dei talebani. Stranezze di un mondo balordo. Gli Stati Uniti, primi inter pares della coalizione, che ingloba alleati europei eccellenti, Inghilterra e Italia, per esempio, si arma (e che armi!), mobilita risorse umane e materiali, parte in quarta e con tale dispiegamento bellico era sembrato che avesse sventato per sempre l’ignominia del fenomeno talebano. Il culmine della ‘vittoria’ sui ‘cattivi’ è stata la cattura e l’esecuzione sommaria di bin Laden, spettacolarizzata con l’obiettivo di sventare ogni rigurgito dei suoi sudditi.

Kabul si internazionalizza con la presenza delle ambasciate dei vincitori e il presidio armato dei rispettivi eserciti.  L’errore clamoroso è immaginare di aver debellato per sempre, alle radici, l’aggressività degli sconfitti, non aver intuito la loro capacità di riprodursi (con un incredibile potenziale di armi sofisticate, fornito da chi?), con l’identica progressione dei contagi da virus, ovvero muovendo da una base di consistenza minima, ma a incontenibile velocità di riproduzione. Il rigenerato talebanismo ha intuito i limiti della ‘disattenzione’ del nemico e senza incontrare ostacoli si è riappropriato rapidamente dell’Afghanistan, ha seminato terrore com’è nel Dna dei suoi feroci criminali. Americani, inglesi, italiani, hanno fatto in fretta le valigie e affrontano una fuga in massa,  equivalente del più totale fallimento politico-militare in questo scorcio del terzo millennio. I media hanno indagato il tragico evento e, come c’era da aspettarsi,  lo hanno ritenuto di enorme portata mediatica, tanto da riservargli le prime pagine e titoli cubitali. Eccezione che conferma la regola è la scelta di la Repubblica che a tutta pagina (la prima) titola “In mensa solo con il pass” e nell’interno scomoda (perché) l’ex ministro del lavoro Tiziano Treu per contestare il provvedimento del governo: “Decisione paradossale. Si vieta di mangiare insieme a chi lavora fianco a fianco”. Titolo e contenuto da bocciare, perché mistificano. Ogni operaio può mangiare accanto ai compagni di lavoro, non a quelli che non mostrino con il ‘green pass, chiacchierato a vanvera, di essersi vaccinati. Neppure il più sprovveduto scienziato di settore avrebbe difficoltà a spiegare il perché della norma di sicurezza individuale e collettiva garantita dalla vaccinazione. Lo ha insegnato la tragica odissea di due anni di pandemia e la tremenda sequenza di nuovi focolai accesi dal mancato rispetto delle norme redatte per evitare nuove fasi del Covid. Così difficile da capire?

Nel palcoscenico per rappresentazioni tragicomiche di certa partitocrazia italiana, sconcertano, scandalizzano, provocano ira funesta le falsità di Salvini e della comare Meloni, i loro tentativi di dissociarsi dal neofascismo di cui si nutrono politicamente. A dimostrarlo non serve neppure ricordare la contiguità di Lega e FI con i neonazisti di Casa Pound e Forza Nuova, ci pensano le loro dirette emanazioni. Due casi di stretta attualità: il sottosegretario leghista  all’economia del governo Draghi, Durigon, propone di titolare il parco pubblico, ora in ricordo di Falcone e Borsellino, al fratello del duce Alessandro Mussolini e l’ex ministra della giustizia Bongiorno, avvocato di Salvini, pur fingendo di non condividere l’idea balsana (per pura opportunità) sentenzia che il truce exploit di Durigon è un ‘peccato veniale’. Candidato al governo della grande Milano, avversario di Sala è tale Bernardo. Egli, senza arrossire, né chiedere perdono è andato oltre ogni confine della decenza, così: “Nessuna distinzione tra fascisti e antifascisti”.

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