SUD AFRICA / IL CASO DI UNA PAZIENTE COLPITA DA 32 VARIANTI

Durante uno studio per esaminare la risposta immunitaria di un campione di 300 persone sieropositive in Sud Africa, i ricercatori si sono imbattuti nel caso – unico al mondo – di una donna di 36 anni infetta sia dall’HIV che da una molteplicità di varianti di SARS-CoV-2 mutate.

Il caso clinico, pubblicato come ‘preprint’ sulla rivista scientifica ‘medRxiv’ a fine maggio, ha rivelato che alla donna era stato diagnosticato una quindicina d’anni fa, nel 2006, l’HIV, ossia il virus dell’immunodeficienza umana, e che aveva sviluppato la malattia provocata, cioè l’AIDS, la sindrome di immunodeficienza acquisita.

Dopo essere stata infettata dal virus SARS-CoV-2 a settembre 2020, aveva sviluppato a sua volta anche il Covid-19. E nel corso dei 216 giorni di degenza – è stato scoperto – il virus persistente nel corpo della donna ha accumulato ben 13 mutazioni nella sua proteina spike e addirittura 19 mutamenti genetici che possono cambiare il comportamento del virus.

Secondo lo studio clinico, alcune di queste mutazioni sono ‘varianti preoccupanti’, come la mutazione E484K, che fa parte della variante alfa B.1.1.7 che è stata osservata per la prima volta in Gran Bretagna, e la mutazione N510Y, collegata alla variante Beta B.1.351 che è stata esaminata per la prima volta in Sud Africa.

I ricercatori sottolineano che con ogni probabilità non è una coincidenza che la maggior parte delle nuove varianti siano emerse in aree come quella del KwaZulu Natal, in Sud Africa, dove più di 1 adulto su 4 è sieropositivo.

Attualmente non ci sono ancora prove sufficienti per dimostrare che le persone con infezioni da HIVsiano più propense a contrarre il Covid-19 e a sviluppare gravi complicazioni, ed essere ‘fucine’ ideali per ospitare e favorire le mutazioni del virus, ossia le sempre più pericolose varianti. Alcuni ricercatori, però, sostengono che il sospetto c’è e che sarà necessario indagare sui casi come quello della donna oggetto dello studio non solo per verificare quanti altri casi esistano, ma soprattutto per accertare se esiste una possibilità concreta che “i pazienti con HIV avanzato – come scrivono nel loro report – possano essere una fabbrica di varianti per il mondo intero”.

Più in dettaglio, secondo il pool di scienziati sudafricani, una persona portatrice di HIV ha una probabilità 3 volte maggiore di morire se infettata dal coronavirus rispetto ad una persona senza comorbilità, a causa della sua immunodepressione.

Secondo il coordinatore dello studio, Tullio de Oliveira, genetista all’Università di KwaZulu-Natal a Durban, “i pazienti immunodepressi possono portare il virus Covid-19 più a lungo degli altri”. Nel caso della paziente al centro dello studio, presentava solo lievi sintomi di Covid-19 ma persistenti nel lungo periodo.

De Oliveira auspica che i test vengano allargati e vengano potenziati i trattamenti per le persone con HIV non rilevato, perché ciò “ridurrebbe la mortalità da HIV, ridurrebbe la trasmissione dell’HIV e ridurrebbe anche la possibilità di generare nuove varianti Covid-19 che potrebbero causare altre ondate di infezioni”.

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