FREUD / IL MONOPOLIO STATALE DELL’INGIUSTIZIA

Esattamente mezzo secolo fa (giugno 1971) una delle più attente case editrici dell’epoca, la torinese ‘Boringhieri’, pubblicava “Il Disagio della civiltà”, tra le più stimolanti opere di Sigmund Freud. Quell’edizione, in particolare, conteneva anche altri saggi del padre della psicoanalisi, come “La morale sessuale ‘civile’”, “Sulla guerra e la morte”, “Psicologia delle masse”, “L’avvenire di un’illusione”, “Perché la guerra?”.

Di seguito, vi proponiamo la lettura di un passaggio tratto “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte”, scritto nel 1915. E poi alcuni stralci desunti dal carteggio intercorso, a metà del 1932, tra Albert Einstein e lo stesso Freud. Li troviamo di grandissima attualità.

“I popoli, più o meno, sono rappresentati dagli Stati che formano; questi Stati dai governi che li guidano. Il privato cittadino ha modo durante questa guerra (siamo nel 1915, ndr) di persuadersi con terrore di un fatto che forse già in tempo di pace aveva intuito: e che cioè lo Stato ha interdetto al singolo l’uso dell’ingiustizia, non perché intenda sopprimerla, ma solo perché vuole monopolizzarla, come il sale e i tabacchi. Lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero il singolo privato. Si serve contro il nemico non solo di un’astuzia legittima, ma anche della cosciente menzogna e dell’inganno intenzionale; e ciò in una misura che sembra sorpassare tutto ciò che è stato fatto nelle guerre precedenti. Lo Stato richiede ai suoi cittadini la massima obbedienza e il massimo sacrificio, ma li tratta poi da minorenni, esagerando nella segretezza e sottoponendo ogni comunicazione ed espressione di pensiero a una censura che rende lo stato d’animo di coloro che ha represso intellettualmente privo di ogni difesa di fronte a qualsiasi situazione sfavorevole che possa determinarsi e a qualsiasi voce pessimistica che possa essere propalata. Si svincola da tutte le convenzioni e i trattati stipulati con gli altri Stati, e non teme di confessare la propria rapacità e cupidigia di potenza: e il cittadino è tenuto ad approvare tutto ciò per patriottismo”.

Allora scoppiava la prima guerra mondiale, oggi siamo in guerra contro la pandemia:

ma il clima descritto da Freud non vi pare lo stesso?

Passiamo alla lettera scritta da Einstein il 30 luglio 1932, su imput della ‘Società della Nazioni’ e del suo ‘Istituto internazionale di cooperazione intellettuale’ di Parigi e indirizzata allo psichiatra viennese per ottenerne un contributo di riflessione e di proposta sui temi della pace (o meglio, della ‘non guerra’). Di grande attualità l’idea di una Corte, un Tribunale internazionale per ‘risolvere’ i grandi problemi: mentre oggi possiamo contare su una Corte dell’Aja per i crimini contro l’umanità che funziona a scartamento ridotto, per via degli ovvi condizionamenti esercitati dalle grandi potenze che finiscono per azzerarne ogni possibile intervento.

Ecco le parole del padre della relatività: “Essendo immune da pregiudizi nazionalistici, vedo personalmente una maniera semplice di affrontare l’aspetto esterno, cioè organizzativo, del problema: gli Stati creino un’autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgono tra loro. Ogni Stato si assuma l’obbligo di rispettare i decreti di questa autorità, di invocarne la decisione in ogni disputa, di accettarne senza riserve il giudizio e di attuare tutti i provvedimenti che essa ritiene necessari per far applicare le proprie ingiunzioni”.

(…) “Oggi siamo però lontanissimi dal possedere una organizzazione sovrannazionale che possa emettere verdetti di autorità incontestata e imporre con la forza di sottomettersi all’esecuzione delle sue sentenze. Giungo così al mio prima assioma: la ricerca della sicurezza internazionale implica che ogni Stato rinunci, entro certi limiti, alla sua libertà d’azione, vale a dire alla sua sovranità, ed è chiaro di là di ogni dubbio che non v’è altra strada per arrivare a siffatta sicurezza”.

Ed ora alcuni stralci dalla risposta di Freud del settembre 1932.

“Una prevenzione sicura della guerra è possibile solo se gli uomini si accordano per costituire un’autorità centrale, al cui verdetto vengano deferiti tutti i conflitti di interessi. Sono qui chiaramente racchiuse due esigenze diverse: quella di creare una simile Corte suprema e quella di assicurarle il potere che le abbisogna. La prima senza la seconda non gioverebbe a nulla. Ora la Società delle Nazioni è stata concepita come suprema potestà del genere, ma la seconda condizione non è stata adempiuta; la Società delle Nazioni non dispone di forza propria e può averne una solo se i membri della nuova associazione – i singoli Stati – gliela concedono. Tuttavia per il momento ci sono scarse probabilità che ciò avvenga”.

Segue una lunga dissertazione sulle pulsioni umane, soprattutto quelle distruttive, e la “necessità di deviarle al punto che non debbano trovare espressione nella guerra”.

E poi afferma: “La ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo non farlo”. “Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono. Ora, la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, così che dobbiamo ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più, non è soltanto un rifiuto intellettuale e affettivo, in noi pacifisti è un’intolleranza costituzionale”.

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