GIBUTI / ECCO LA BASE MILITARE ITALIANA

Avamposto militare italiano a Gibuti, nel sempre tribolato Corno d’Africa.

Proprio nell’enclave desertica fra Eritrea, Etiopia e Somalia, di fronte allo stretto Bab El Mandeb che separa il Mar Rosso dal golfo di Aben, le forze armate italiane hanno installato una base operativa avanzata interforze per il supporto logistico alle componenti militari impegnate in territorio somalo e nell’Oceano indiano nell’ambito della missione UE ‘Atalanta’ (sì, proprio come la squadra di Bergamo) per contrastare la pirateria in mare.

Si tratta di una delle posizioni geostrategici di maggior rilevanza a livello mondiale ed è la più battuta rotta commerciale marittima tra l’Asia e l’Europa, soprattutto per trasportare l’oro nero, il petrolio.

Ricostruisce il blogger antimilitarista Antonio Mazzeo: “Inaugurata nell’ottobre 2013 a Loyada, a pochi chilometri a sud della capitale Gibuti e dal confine con la Somalia, la Base Militare Italiana di Supporto (BMSI) dipende dal COIComando operativo di vertice interforze di Centocelle, Roma – ed è stata infelicemente intitolata ad Amedeo Guillet, un ufficiale del regio esercito protagonista di tutte le campagne coloniali fasciste in Etiopia e in Libia e che ha pure comandato una compagnia carri inviata da Benito Mussolini in Spagna durante la sanguinosa guerra civile a fianco delle truppe del generale Francisco Franco”.

La nostra Base è stata visitata il 22 marzo scorso dal dinamico ministro della Difesa Lorenzo Guerini (fresco della ‘sfigata’ missione in Mali a poche ore dal nuovo golpe) che così gongolava: “Siamo in questa terra con questo stabile avamposto, la prima vera e propria base logistico-operativa italiana costruita all’estero dopo la seconda guerra mondiale. Gibuti è una realtà piccola ma cruciale, che in questi anni ha fatto della sua posizione nevralgica un punto d’accesso importante alla regione del Corno d’Africa e una cabina di regia per le operazioni di contrasto al terrorismo, di sorveglianza dei traffici commerciali, di contrasto alla pirateria”.

E ha spiegato, Guerini, la strategia italiana in quel territorio: “l’Italia intende continuare a supportare lo sviluppo delle forze di sicurezza locali attraverso i nostri programmi di addestramento, anche a tutela degli interessi nazionali”. Di quale nazione, non s’è ben capito.

Il nostro ministro si è incontrato, ovviamente, con il presidente della repubblica somala Ismail Omar Guelleh e con il suo omologo, Hassan Omar Mohamed Bourhan, con il quale si era già visto nel corso di un summit romano a fine gennaio 2020, “per siglare un nuovo accordo bilaterale in ambito ricerca e sviluppo, supporto logistico e acquisizione di prodotti, servizi e attività formative ed addestrative. Fra le modalità attuative dell’accordo – precisava una nota della Difesa – sono previsti scambi di esperienze tra esperti e partecipazione a corsi ed esercitazioni da parte del personale delle Forze Armate”.

Attualmente nella base italiana di Gibuti è autorizzata la presenza fino a 117 militari e 18 mezzi terrestri. In particolare, sono ospitati i nuclei d’elite della Brigata San Marco destinati all’imbarco sui mercantili in transito diretti nell’Oceano Indiano e i team delle forze speciali interforze.

Dettaglia Mazzeo: “La base permanente italiana è il centro nevralgico delle attività addestrative delle forze di polizie gibutine e somale nell’ambito della cosiddetta missione ‘MIADIT’ affidata ai reparti specializzati dell’arma dei Carabinieri a partire dal 2013, dopo la firma di alcuni accordi di cooperazione tra Italia, Somalia e Gibuti. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati in particolare i corsi rivolti al personale delle compagnie denominate ‘Darwish’, le nuove unità mobili della Somali Police Force che – secondo ‘Analisi Difesa’ – sono ‘specializzate in attività di stability police e interventi ad alto rischio, a composizione inter-clanica, schierate principalmente nella capitale Mogadiscio e destinate a divenire fondamentali per la stabilità e la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica della Somalia”.

I ‘Darwish’ addestrati dal personale italiano a Gibuti e da formatori delle missioni UE e ONUnell’accademia di polizia di Mogadiscio, sono stabilmente impiegati in particolare nella regione meridionale di Lower Shabelle, da lungo tempo al centro di un sanguinoso conflitto tra le forze armate regolari e i gruppi islamisti di Al-Shabaab.

Le gravi e pericolose contraddizioni rappresentate dalla decisione ONU e UE di affidare compiti bellici e di sicurezza a queste milizie paramilitari sono stati analizzate da una grossa esperta di ‘guerre ibride’ e ‘attori armati non statali’, la statunitense Vanda Felban-Brown, autrice di uno studio pubblicato nel 2020 dal Centro di ricerca politica della United Nations University di Tokyo. “L’origine del termine ‘darwish’ – spiega la ricercatrice – scaturisce dalle differenti milizie che hanno svolto funzioni militari o di polizia, operando indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala, sotto la direzione dei presidenti degli Stati membri della federazione. Le forze darwish sono state una base di potere importante per gli attori dell’elite politica, una sorta di guardia pretoriana che fornisce protezione e minaccia di forza contro i rivali. La lealtà di queste milizie è fluida e le stesse sono suscettibili di essere reclutate dai loro nemici e possono mettere al primo posto i propri interessi, o quelli di un padrone esterno, contro quelli dello Stato”.

Ed aggiunge: “Essendo profondamente legate alla politica economica della Somalia, le milizie hanno una forte tendenza ad appropriarsi dell’autorità politica, rafforzando forme autoritarie di governo, monopolizzando le economie locali e finendo per impegnarsi in altre attività paramafiose. In questo modo, i loro esasperati conflitti locali accrescono il malcontento e finiscono per rafforzare politicamente Al-Shabaab in diverse parti del Paese”.

Commenta Mazzeo: “Le Nazioni Unite, così come Bruxelles e Roma, sembrano poi ignorare anche le autorevoli denunce di abusi e violazioni dei diritti umani da parte delle (ex) milizie darwish”. Milizie che – secondo Felbab-Brown – “alla stregua delle forze di polizia somale, sono accusate di rapine all’interno dei campi che raccolgono gli sfollati, di sparatorie incontrollate così come di un meccanismo di controllo della folla e omicidi extra-giudiziari ai checkpoint”.

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