Altro che Robin Hood

È concorrenza serrata tra giganti dell’offerta televisiva. In Italia la guerriglia delle antenne vede l’uno contro l’altro Sky, Mediaset, Tim, Vodafone, Amazon, Dazn. Da qualche tempo devono fare i conti con la stratosferica offerta di Netflix (infinite serie, fiction, film, eccetera) che crea imbarazzo della scelta ed è ricco di proposte, molte di qualità. Da non perdere per esempio la “La regina degli scacchi” (sceneggiatura, racconto, protagonista super). Il genere action-poliziesco (“La Casa di carta”, seguitissimo serial) propone scariche di adrenalina a ripetizione, intermezzi di forte emotività offerti da personaggi disegnati e interpretati con buon mestiere. Sorprende la cura sofisticata della regia, il livello ‘americano’ degli interpreti spagnoli, protagonisti e comprimari, e la chilometrica programmazione vince con distacco il confronto con la maggior parte delle sorelle made in Italy. Se non si leggono i titoli di testa, si direbbe insomma un prodotto che non sfigura con l’eccellenza del cinema Usa. La serie prevede un’infinità di puntate, la prima proposta ne offre ben dodici.

 

Salvo variazioni sostanziali sul tema delle successive il giudizio si spacca a metà. Qualità delle riprese, ambientazione, colpi di scena, suspence, emozioni, bravura di attori e attrici, sono componenti di un mosaico con il segno più. Il voto in pagella, alto, non include però la perfezione, anzi, per il peccato affatto veniale di una trama che strizza l’occhio, anzi tutti e due, all’abilità diabolica di un ingegnoso ‘capo banda’, autore di un piano criminale per stampare un numero impressionante di milioni di euro, con il corollario del mega sequestro di personale della zecca e di studenti in visita alla ‘fabbrica’. Decisamente discutibile è la storia parallela di un’ispettrice di polizia che finisce tra le braccia e a letto del capobanda e sposa il suo disegno criminale. Tra inconsapevolezza da innamorata in età da ultime chance sentimentali e infatuazione per un imparagonabile emulo di Robin Hood (che ha sulla coscienza un po’ di morti), commette una serie di reati per evitare la cattura dell’‘amato’ e del manipolo di micro criminali coinvolti nell’‘impresa’.  Scoperta e ‘licenziata’, vola allegramente e si congiunge nello splendore di un’isola caraibica al ‘professore’, che ha pianificato con abilità maniacale l’incursione nella zecca di Stato. Qua e là, in altri eco-paradisi, i ladri miliardari si ritrovano ripuliti e straricchi. La speranza dei fruitori ‘sani’ della serie è che il racconto del secondo round di ‘La Casa di carta’ coincida con l’arresto degli amanti ‘anomali’ e dei loro accoliti. Altrimenti la fiction andrebbe censurata per insulto all’etica, perché decisamente diseducativa. Succede, che la banda di ex malviventi di piccolo cabotaggio programmi, sempre con la regia del diabolico ‘professore’, un altro colpo di micidiale e criminale spettacolarità: obiettivo il tesoro in lingotti d’oro della Spagna. L’incipit del racconto induce a lasciare la ‘Casa di Carta’ a chi soggiogato dall’ incalzante sceneggiatura, dalla scelta felice delle locations e da una  buona performance del cast, crede ancora nella favola dei ladri eredi di Robin Hood. Ps. ‘Bella ciao’: è intollerabile aver usurpato il canto antifascista dei partigiani, più volte, incomprensibilmente, colonna sonora della serie.

Nb. Comunque, senza la copiosa messe delle produzioni televisive, che permettono di selezionare quando e perché guardare questo o quello, nessun dubbio: il lungo, faticoso, percorso di clausura imposto dal coronavirus avrebbe toccato il fondo del baratro della ‘noia’ depressiva.

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