Lutto al braccio del Primo Maggio

Morti bianche? Definizione da cancellare, perché motivata dall’intenzione di escludere la responsabilità dei singoli. Di fatto tecnica pilatesca, che distribuisce la colpa tra più soggetti e rischia di prolungare i processi per molti anni, di non punire i colpevoli. Comunque, il bianco è colore improprio per il tragico bilancio di lavoratori che muoiono in fabbrica, nell’edilizia, in agricoltura. Cifre da rabbrividire. Ogni anno nel mondo 2,2 milioni di lavoratori (12mila sono bambini) perdono la vita per infortuni o malattie professionali. La dimensione di questo orrendo olocausto si può giudicare riflettendo sulle sue conseguenze, paragonabili alla catastrofe di una città come Parigi spazzata totalmente via, con le strade deserte, in un atroce silenzio. Ogni anno più di 270 milioni gli incidenti sul lavoro e 160 milioni le malattie professionali. Il costo economico, problema non primario, ma egualmente rilevante, equivale al 4% del prodotto interno lordo mondiale. La tragedia nella tragedia è che la maggior parte degli infortuni e dei morti si potrebbero evitare con l’impegno di governi e imprenditori, se attuassero a fondo la prevenzione, se migliorassero sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Non accade ed è responsabile anche, soprattutto, il prevalere della logica del profitto sulla tutela della vita. E l’Italia?  Due 2 morti al giorno sul lavoro nei primi tre mesi di quest’anno. Due famiglie italiane, nel breve spazio temporale di tre giorni, distrutte dal dolore per la morte in circostanze analoghe di una giovane operaia e di un meccanico. Nei primi tre mesi del 2021, 185 morti ‘bianche’ (nel sud del Paese da 47 a 58 rispetto al 2020 che si è chiuso con il terrificante numero di 1.270 morti, ovvero con il +16% rispetto al 2019. Allora, al no di ‘morti bianche’ si contrappone con realismo la definizione degli anni sessanta ‘omicidi del lavoro’. Gli eventi più drammatici in Italia: Bollate, 57 operai morti per l’esplosione in una fabbrica di munizioni; Colleferro, esplosione di tritolo, 60 morti, 1.500 feriti; Torino, ThyssenKrupp, sette morti. Belgio, Marcinelle, miniera di carbone, 262 morti, 136 italiani. L’Italia, nel decennio 1996-2005, è risultato il Paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa.Nel cercare un “fattore casuale” degli incidenti, lo riferisce chi studia il fenomeno, fu attribuito inizialmente alla predisposizione delle persone, quasi fosse genetico (!!!) il rischio di cadere da un’impalcatura. Ancora oggi sembra normale investire per aumentare i profitti, anziché effettuare più manutenzione e applicare le norme di sicurezza. In drammatica sintesi: l’espressione ‘morti bianche’ non rende giustizia alle persone che perdono la vita e l’avidità del profitto è troppo spesso la responsabile di incuranza e inerzia nel migliorare la sicurezza nei luoghi di lavoro, non di rado con l’aggravante di condizioni disumane degli emigrati, sfruttati in nero, come schiavi, costretti a tempi e modi bestiali della fatica, privi del diritto fondamentale alla salute. In questi giorni, c’è attenzione per la sicurezza dei lavoratori, sollecitata dalla commozione per la morte di Luana e di Christian Martinelli, ma tra una settimana, un mese, forse un anno, ma quanto a lungo durerà in questo tempo del cinismo, di egoismi, del culto per il dio denaro?

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