Centottanta ragioni di un doloroso choc

Cinquant’anni orsono Frazier, con un paio di ganci al mento, in zona da ko, mise al tappeto Muhammad Alì, in arte Cassius Clay, gigante rivoluzionario della boxe, fiero oppositore dell’aggressione armata del suo Paese al Vietnam. Lo storico evento è riproposto dai media e il suo ricordo ha indotto molti dispensatori di news a ripubblicare le immagini di quella scazzottata ai massimi livelli. L’effetto, osservandole ben in vista in una delle ormai poche edicole sopravvissute alla crisi della pandemia, si è sommato allo choc provocato da copertina e controcopertina del quotidiano Repubblica, organo portavoce del potente monopolio dell’informazione Gedi, emanazione diretta del gruppo multinazionale Fiat-Chrisler-Peugeot, che un giorno sì e l’altro pure, riserva adeguati spazi, guarda caso, alla produzione automobilistica della sua proprietà e nelle pagine sportive alla Juventus. Ora: chi nega gli effetti psicologici collaterali della clausura imposta dal coronavirus e in particolare il carico di paura consapevole-inconsapevole di esserne vittima, soffre crisi di ansia, in non pochi casi di angoscia, ovvero di forte disagio, esasperato dal timore che neppure la vaccinazione di massa ci possa liberare del tutto dal micidiale virus, dalle sue continue mutazioni, non coperte dai sieri antiCovid disponibili. Il quotidiano in questione pubblica a piena pagina, nella prima e nell’ultima, la tremenda sequenza di 180 volti in formato tessera. Sono 180 dei centomila italiani, che il maledetto Covid ha portato via ad altrettante famiglie, agli affetti, alla vita.  La ragione dichiarata di pubblicare queste immagini è di trasmettere al futuro un monito perché la ‘strage di innocenti’ insegni a prevenire possibili repliche di una pandemia, che ha sorpreso il mondo impreparato a contrastarla. Ma per chi ha memoria di altri ‘manifesti’, con decine di volti delle vittime del terrorismo o di eventi catastrofici. la vista dei deceduti da Covid-19 si associa automaticamente alla tragedia di uomini e donne stroncati dal virus dopo l’immane sofferenza di terapie intensive subite in desolata solitudine, alle sepolture negate, alle bare trasferite da camion militari, alla vita-non vita del lockdown, alla scolarità mortificata dal Dad, alla consapevolezza di un uragano, che ha già sottratto a tutti noi un anno di ‘normalità’ e a tanti il lavoro, ai giovani la legittima voglia dello stare insieme, alla cultura ogni sua evidenza, a tutti la prospettiva di un futuro prossimo fuori dal tunnel della pandemia. Come un gancio al mento, quei 180 volti di chi non c’è più, generano altro male oscuro, pessimismo indotto, o quanto meno disagio in quanti per loro fortuna sono emotivamente meno vulnerabili.

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