“Due dosi, no una” del vaccino che non c’è

Sul postulato scientifico di semplice comprensione, qual è la differenza tra vaccini unidose e doppia dose, Draghi imbocca la via inglese di una sola somministrazione e del ‘poi si vedrà’. La direttiva scombussola gli equilibri tra chi riceve l’antiCovid ad effetto immunizzante con un’unica dose e chi, senza averlo scelto, si è sottoposto alla prima di Pfizer con l’indicazione di completare il ciclo dopo 21 giorni. Perché l’inedita strategia sia condivisa o contestata, concorrono più argomenti: il principale è ‘politico’ e parascientifico. Sotto pressione per il deficit di dosi necessarie alla famosa ‘immunità di gregge’, contestato dal mondo produttivo in ginocchio, il governo si affida alla ‘divina’ moltiplicazione di pani e vini e riduce del 50 percento la doppia sequenza di vaccinazioni: esiste un’indagine attendibile sull’efficacia della somministrazione dimezzata? Esiste un criterio selettivo sulla priorità di soggetti da immunizzare con vaccini monodose e se non c’è con motivazioni condivise, non rischia di scatenare una rissosa competizione di aspiranti all’immunità con una sola somministrazione, o peggio di aprire un nuovo capitolo sull’illecito favoritismo di ‘amici’ e parenti? A giustificare le perplessità del caso interviene nostra madre lingua. La frase per assolvere il Draghi della dose unica: “Sic stantibus rebus aliud facere non poteras”, ovvero “se le cose stanno così (pochi vaccini) non avresti potuto fare altro!”

È lodevole l’impegno di contrastare l’egocentrismo delle multinazionali, che tengono in cassaforte il percorso di ricerca dei vaccini, che altri in passato hanno reso disponibile al mondo intero e gratis. Perché non produrre in Italia? Giusta la scelta nazionalista, anche in previsione di esigenze a venire, quando ci si dovrà vaccinare stagionalmente come per l’influenza, ma…ma i tempi per concretizzare questa ipotesi, a detta degli esperti, sono di lungo termine. E allora?  Allora, si potrebbe e dovrebbe anteporre l’emergenza dell’immunità di massa alla ‘fedeltà atlantica’ e rifornirsi di vaccini russi (sputnik) o cinesi (coronavac), che la scienza giudica efficaci e sicuri.

Draghi avrebbe qualche ragione a puntare su una dose e sul citato ‘poi si vedrà’ se l’azzardo di Johnson si confermasse frutto di coraggio fondato sui fatti (per il momento è comunque prodigioso il calo di contagi), ma a maggior ragione diventerebbe determinate per l’obiettivo ‘normalità’ disporre con urgenza di milioni di dosi, che siano Pfizer, Moderna, AstraZeneca, Sputnik, Coronavac o altri, vicini al traguardo della sperimentazione (63 sull’uomo, 177 in fase di pre-sperimentazione clinica). Avesse ragione Draghi, nascerebbe il sospetto, che la multinazionale Pfizer abbia dichiarato compiuta l’immunità dopo la seconda dose per ‘vendere il doppio di vaccini’ e che gli 007 di Johnson ne siano informati.

Vale, o è da cancellare, l’appuntamento dei 21 giorni dopo la prima somministrazione del Pfizer? È vero, o no, che non abbia conseguenza il ritardo della seconda dose? Insomma, oltre alle mille, onerose incombenze, Draghi deve anche provvedere alla ‘sanificazione’ del sistema informativo, del caos di decine di esperti (e politici, tuttologi senza alcun titolo) che affollano Tg e salotti televisivi.

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