TU SCENDI DALLE STELLE – Il Racconto per Natale di Luciano Scateni

Santi e sante, beati e arcangeli in fase di apprendistato, riuniti in concilio super ecumenico, convenuti sulla nuvola riservata alle sedute speciali del parlamento celeste chiamato a rispondere nello spazio del question time alle interrogazioni recapitate in paradiso dall’universo intero. San Pancrazio, presidente di turno, legge l’interrogazione, mittente ‘Peppe ‘all’intrasatta’ che santa Concetta, nativa dei quartieri spagnoli, si impegna a tradurre in ‘Giuseppe all’improvviso’, attributo addossatogli da mammà per le sue imprevedibili scelleratezze: “Caro padreterno, dice lo scrivente, te sì scudato ‘e Napule? Ce manca ’a fatica, ’o sindaco nun sindaca e ‘a papera nun galleggia (tradotto : ‘stiamo affondando’. E tu che faie? Te sì scurdato ’e Napule. Si nisciuno ce pensa…piensace tu. O no?”

 

Prende la parola sant’Eufemio, giovane socio del club ‘santi pensatori’, terza nuvola a destra dell’empireo, eminenza grigia e apprendista vice San Pietro, di origine partenopea. Si rivolge con spregiudicatezza giovanile direttamente al figlio del padre eterno…

“Uè Gesù, che vuò fa, scinne nterra?”

“Ma quanno maie. Hanno ridotto ‘o pianeta comme ’na cloaca, ’na discarica, ’na munnezza!”

“E proprio perciò devi andarci. Si no che criatura d’’o patreterno sì?”

“Va bbuò, mò ce penso”

“Ma che vuò pensà. Scinne, vaie, muovete”

Con ‘santissima’ pazienza, Jesus veste comodi jeans, una t-shirt con la scritta ‘Vengo da ’o paraviso, e ce stò in santa pace, nun me sfruculiate’, scarpe da tennis firmate ‘adidas blu sky’, sulle spalle l’elicottero monoposto personalizzato, a trazione acqua piovana distillata, progettato da Leonardo nel laboratorio a lui riservato sulla nuvola adiacente alla divina magione del sommo padre. Nello zainetto spedito da Alibaba pochi giorni prima e consegnato dalla giovane cosmonauta Càrola, postina spaziale, con affrancatura esente da costi aggiuntivi, Jesus infila una confezione di baci Perugina multigusti, tovaglioini ‘Tempo’, ‘che laggiù chissà che clima trovo’, un navigatore ‘tom tom’, lo smartphone satellitare made in China, due slip di ricambio e la guida Michelin del Pianeta da sanificare. A un terzo del tragitto cosmico in direzione della Terra gli tocca scansare rifiuti rotanti in orbita del terzo tipo: satelliti con batterie scariche che vagano senza meta, rifiuti alimentari abbandonati nella volta celeste da internauti ignoranti del galateo, lattine vuote di Coca Cola e neppure di quelle light, mozziconi di sigari cubani, copertine di periodici patinati con foto di stelline ‘come le ha fatte la mamma’, a caccia di visibilità mediatica, cialde usate di caffè ‘Che aroma, ragazzi’, spedite in orbita da spifferi di venti solari e un paio di grammi della cocaina atossica, che il medico della mutua celeste prescrive a santi e sante insonni per conciliare la nanna, un tablet che ha registrato la 280esima interlocuzione di tale ‘Massimo’ multicampione della ghigliottina, flaconcini vuoti di vaccino antiCovid made in Whuang, pastiglie di cortisonglutammatocitrosilcloridrato, toccasana che strapazza il coronavirus fino a indurlo al suicidio, l’ ‘alexia’, che traduce in simultanea duemila lingue e dialetti dei terrestri.

“Addò vaco?” Al culmine dell’indecisione l’inviato del cielo s’interroga sul dove, per giusto rispetto delle potenziali priorità. Va buono, comincio dal cuore della cristianità, dalla dimora di un’indiscussa santità, per entrare in confidenza con questo microcosmo dell’universo dove ha casa un francescano che regna su milioni di umani miei fans”. Ma Bergoglio è assorto nel quotidiano esercizio di creatività che elabora persuasivi invito a: fratellanza, solidarietà, umiltà, onestà, pace e bontà, altruismo, antirazzismo, generosità, tolleranza, accoglienza, beneficienza, prodigalità, fratellanza, morigeratezza, perseveranza.

Allora giù di lì. In prossimità del suolo vulcanico dei Campi flegrei, veementi folate di tramontana lo investono dell’acre effluvio ‘eruttato’ dalla solfatara e gli provocano sonori starnuti, sì forti da farlo deviare si alcuni gradi indirizzando il volo sull’ombelico del quartiere popolare di Fuorigrotta. Sotto di lui appare la sagoma circolare dell’impianto che ospita quello strano dare pedata a una sfera multicolore, che gli umani chiamano calcio. Ne ha riferito un ultimo arrivato nelle galassie celesti catturate dal sommo padre per illuminare il ‘regno dei cieli’. “Jesus, ma che vulite sapè. nel catino di cemento che circonda il grande prato verde, undici criature corrono, s’incontrano, si scontrano e fanno le capriole se la palla finisce nella rete dei nemici. Si chiama stadio e per il popolo è stato per trent’anni il ‘San Paolo’.

 

 

 

Ora l’occhio ultra bionico dell’inviato speciale del Parnaso indaga la struttura descritta dal nuovo inquilino della volta celeste e con un sobbalzo teme di aver ‘perso la bussola. In navigatore conferma, è proprio la struttura del San Paolo, come lo ha progettato l’archistar Carlo Cocchia, solo che sulla grande scalinata che fronteggia il rettangolo verde campeggia la scritta a caratteri cubitali “Stadio Diego Maradona”.

La conclusione della discesa prende altra direzione e l’elicopter divino si poggia dolcemente, con precisione geometrica, al centro preciso della piazza grande di Napoli con il muso rivolto alla monumentale struttura del palazzo, sede di re, come racconta la guida Michelin. Un unico solo napoletano passeggia senza meta in quell’immenso spazio inanimato. È interamente vestito di nero totale, interrotto da un bianco collettino rigido, ha le mani strette attorno a una coroncina in cui sono incastrati piccoli grani. Sembra mormorare qualcosa ed è l’unico potenziale mediatore cielo-terra in vista.

“Giovane (Iesus prova e spacciarsi per indigeno), diciteme, ma addò pigliano a calci ‘na palla, se chiamma San Paolo o Marcadona?”

“Maradona, senza la ‘c’. Non me ne parlate, gli hanno cambiato il nome gli adoratori di un ‘dio’, pardon, di un genio della pedata e San Gennaro molto s’è incavolato. Perciò minaccia peste e corna per lo sgarbo blasfemo dei suoi protetti, capitelo…un pedatore che usurpa un santo…non s’è mai visto e si poi si capisce come va a finire. Gennaro non fa il miracolo di sciogliere il suo sangue e dopo qualche giorno il Napoli perde senza demerito la sfida con i milanesi dell’Inter, protetti da Sant’Ambrogio. Che vulite, ’o santo cuntrariato s’è pigliato ’o sfizio e se vendicà, parola e nu modesto prevete comme a mme!”

Jesus trasecola. Ma come, così elabora la sua materia grigia ultraterrena, tutte fake news le informazioni di cui mi hanno dotato in paradiso? Miseria, proteste, fame e povertà dolente…Qui mi sembra che la cahier de doleance si focalizzi sulla disputa ideologica tra idolatria per un pedatore e le incazzature del patrono, che come un umano permaloso punisce i suoi fedeli, negando loro la ritualità del miracolo che da secoli li illude di godere della sua protezione. Mi basta e mi avanza, conclude Jesus, me ne torno su e da oggi in poi istituisco un filtro divino che valuti le missive provenienti dalla Terra.

“E però, sprecare completamente la fatica della trasferta?” L’elicopter progetta il rientro con deviazione sul lungomare incorniciato dalla maestosità del Vulcano silente. Sulla scogliera un giovane mezzo nudo cattura il tepore primaverile di un sole da estate di San Martino. Jesu ferma il veicolo spaziale nei pressi del bagnante fuori stagione e indotto da pietas divina gli chiede:

“Giuvinò, ma è miezo juorno, cummè ca nun state a faticà?”

Ciro si stiracchia, aspira un paio di volte dal quel che resta di uno spinello e con fare beffardo recupera il racconto di una barzelletta che racchiude in sé tutta l’irriverenza partenopea.

“A faticà, e pecché?

“Beh, il lavoro nobilita e vi farebbe guadagnare”

“E poi?”

“Piano piano, potreste mettere su una vostra attività, avere dei dipendenti, guadagnare di più”

“E poi?”

“Potreste finalmente consentirvi un meritato riposo”

“Overo? E che dicite, io, mò che sto facendo?”

Ride Jesus, ride per la durata del velocissimo ritorno ‘a casa’. Lo accoglie San Pietro e gli chiede di intervenire per richiamare al dovere un arcangelo ribelle, che si rifiuta per pigrizia di guidare i suoi nella preghiera dell’Angelus.

“Spiacente, Pietro, sono in pausa riposo. Mi stendo al sole per scaldare le ossa e perché no, per abbronzarmi. Ho già dato. Dont’disturb, please. Bye”.

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