SUPER VACCINI / IL J’ACCUSE DEL BRITISH MEDICAL JOURNAL

SOS vaccini.

A suonare l’allarme è nientemeno che il prestigioso British Medical Journal. Una bocciatura senza appello per i vaccini appena lanciati ed ora in fase di distribuzione a livello internazionale da tre colossi di Big Pharma: Pfizer, Moderna e AstraZeneca.

Per testarli non sono rispettati i fondamentali criteri di chiarezza e trasparenza, non sono state condotte adeguate sperimentazioni su anziani e under 18, donne in stato di gravidanza o in fase di allattamento non sono state neanche prese in considerazione, sono stati del tutto minimizzati gli effetti collaterali.

Un vero disastro.

A firmare il j’accuse è il coeditore della rivista, Peter Doshi, professore associato all’Università del Maryland, impegnato nelle ricerche sui servizi sanitari farmaceutici. Secondo il New York Times, si tratta di uno dei più autorevoli divulgatori scientifici, perché si occupa molto di fornire ai consumatori “il quadro completo” di tutti i dati sui farmaci.

Roberto Burioni

Da noi, intanto, continua il balletto dei virologi via etere. Come è successo per il Saltimbanco di tutte le Provette, ospite consueto delle comparsate domenicali di Fabio Fazio. L’allergologo-massone (è iscritto al Grande Oriente d’Italia) Roberto Burioni, infatti, s’è esibito in una risibile lezioncina pro Vax, neanche degna di una tivvù di quartiere.

Ma passiamo a cose più serie e torniamo al j’accuse di Doshi.

Che parte citando il decano della National School of Tropical Medicine del Baglor College of Medicine di Houston, Peter Hotz: “Idealmente, vogliamo che un vaccino faccia due cose. In primo luogo, ridurre la possibilità di ammalarsi in modo grave e di dover andare in ospedale; in secondo luogo, prevenire l’infezione e interrompere la trasmissione della malattia”.

Denuncia Doshi: “Nessuno degli studi ora in corso è progettato per rilevare una riduzione di esiti gravi come i ricoveri in ospedale, l’uso di cure intensive o i decessi. Né i vaccini vengono studiati per determinare se possono interrompere la trasmissione del virus”.

Parole dure come macigni.

E’ poi sul fronte degli effetti collaterali che proseguono le critiche.

“Il comunicato stampa di Moderna afferma che il 9 per cento ha sperimentato mialgia di grado 3 e il 10 per cento affaticamento di grado 3. La dichiarazione di Pfizer ha riportato che il 3,8 per cento ha stanchezza di grado 3 e il 2 per cento mal di testa di grado 3. Gli eventi avversi di grado 3 – precisa – sono considerati gravi”.

In molti casi – viene spiegato – questi effetti collaterali somigliano ai sintomi del Covid. Le persone che hanno effettuato il vaccino potrebbero semplicemente essere portatori di Covid. Per capire bisogna fare il tampone. E’ stato fatto? “Questa informazione – osserva lo scienziato – non è nota, anche se è fondamentale conoscere ciò. Perché se quelle persone fossero semplicemente positive, il 90 per cento di efficacia comunicato dalle case farmaceutiche si ridurrebbe in modo significativo”.

E continua: “Dal modo di elencare i propri test, si capisce che i tamponi non sono stati fatti a tutti i protagonisti delle sperimentazioni, ma solo alle persone per le quali i medici lo ritengono necessario. E questo è un problema”. Da non poco, per l’attendibilità dei test.

Altro elemento base è l’incertezza sulle prestazioni dei vaccini, in sostanza circa la loro effettiva efficacia sui 3, 6 o 12 mesi.

“Né si sa – punta l’indice Doshi – se una persona vaccinata, oltre a non sviluppare i sintomi Covid, possa o meno contagiare altre persone”. Un interrogativo da novanta.

Ancora. Chi è stato arruolato – si chiede il coeditore del Journal – per testare i vaccini? Siamo ad un altro passaggio di fondamentale importanza, che riguarda le cosiddette categorie a maggior rischio.

A partire dagli “anziani fragili”.

“Se gli anziani fragili – ragiona Doshi – che si ritiene moriranno in numero sproporzionato sia per influenza che per Covid non vengono arruolati in numero sufficiente, ci possono essere poche basi per presumere benefici in termini di meno ricoveri ospedalieri o mortalità. Qualunque sia la riduzione dei casi osservata nella popolazione complessiva dello studio (la maggior parte dei quali è tra adulti sani), il beneficio potrebbe non applicarsi alla sottopopolazione anziana fragile, con l’effetto che poche vite potrebbero essere salvate”.

Continua l’impietosa diagnosi su questi vaccini: “se non disponiamo di dati adeguati nel gruppo di età superiore ai 65 anni, queste categorie non dovrebbero ricevere il vaccino, il che sarebbe un peccato, perché sono proprio quelli che hanno maggior probabilità di morire con questa infezione”.

C’è poi un altro terreno rischioso, che riguarda i bambini, le donne in gravidanza e gli immunodepressi, un terreno in cui – sottolinea Doshi – “l’incertezza regna sovrana”.

In sostanza, secondo il Medical Journal – non proprio un bollettino condominiale – la spasmodica ricerca di far presto e a tutti i costi per essere i ‘primi’ nella caccia al vaccino, è “illogica, vista la mancata piena trasparenza dei dati”.

Nello stesso numero della rivista, quattro illustri scienziati rivolgono un appello alle case farmaceutiche impegnate nella corsa al vaccino: mettere a disposizione di TUTTI i dati relativi alle proprie sperimentazioni, affinchè il giudizio finale sulla validità dei vaccini spetti all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Hanno firmato l’appello lo spagnolo Jose Martin-Moreno, il britannico John Maddleton, l’israeliano Manpred Green e Mohamud Shcek-Hussein degli Emirati Arabi.

 

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