Triste addio

Si chiama Bruno quello dei miei fratelli ‘espatriato’ in quel di Milano, molto prima del connubio Maradona-Napoli. Lui è un serio intellettuale mai estraneo alle vicende di Partenope. Per dire in cinque parole quanto è stato detto con un profluvio di commenti dagli appassionati necrologi del ‘pibe de oro’: Bruno, impegnato intellettuale, prestato alla capitale economica italiana, ha chiamato il figlio Diego.

Ivan Zazzeroni, direttore del Corriere dello Sport (ma come ottempera   all’impegnativo ruolo se ne sta mattina, pomeriggio e sera in tv?) ha detto la sua sulla scomparsa del più geniale calciatore di tutti i tempi: “Un dio”. In sorprendente sintonia con il blasfemo parallelo la prima pagina di ‘Repubblica’: “Il calcio va in paradiso”, “Un dio umano…” (libro dell’ex azzurro Ferrara), “Maradona in cielo in un pallone”, “Quel sinistro divino”. “Il ‘barba’ come lui chiamava Dio (Maradona, ndr), non se l’è preso in un giorno qualsiasi. I diversi, i rivoluzionari, gli sbagliati hanno un loro modo di condividere l’eternità. Mishima, Best, Castro e ora Diego (nell’ordine il più noto scrittore giapponese contemporaneamente esaltato e censurato, morto suicida in diretta Tv il 25 novembre / George Best, uno dei più grandi calciatori di sempre, alcolista, morto il 25 novembre/ Fidel Castro, morto il 25 novembre”). Messi: “Ci lascia, ma non se ne va, perché Diego è eterno”. Saviano: “Sono cresciuto nella sua divinità, ora mi accorgo che era umano”. Paolo Sorrentino, regista, autore di un film su Maradona: “E’ stata la mano di Dio. Lui non è morto, sta solo giocando in trasferta”. De Giovanni: “E’ solo un passaggio dalla vita terrena all’epica…Maradona è un patrono laico, una figura non mortale nel pantheon di Napoli. È come immaginare che possa morire un pastore del presepe o San Gennaro”.

È il momento di fermarsi. La letteratura in morte di Diego ha pochi confronti per quantità e qualità nella pubblicistica mondiale di eventi simili. La scelta delle esternazioni qui riferite è forse il milionesimo tributo all’unicità di una atleta da raccontare ben oltre le magie cumulate nell’intenso percorso sportivo, ma anche la garbata riserva sulla sua divinazione, difficile da condividere perfino nei confronti di quanti la chiesa fa santi per presunti attestati di miracoli compiuti. Al commosso ricordo di Diego re di Napoli, all’esegesi dell’immenso calciatore, può sfuggire una delle negatività di cui è stato protagonista. Droga e stravizi, amplificati dai media, enfatizzati dalla stampa del gossip, imputano a Maradona di essere stato un coinvolgente esempio della ‘trasgressione’ oltre ogni limite, modello nefasto della commistione tra doti esaltanti, non solo calcistiche e colpevoli cedimenti a distorti modelli di vita, suscettibili di influenzare i giovani, non solo quelli che amano il calcio e lo hanno idolatrato.

Solidarietà, certo, per il mondo dei tifosi napoletani in lutto, ma in tema di trasgressioni anche serie perplessità per gli assembramenti di ieri sera, per la follia di centinaia di loro, dimentichi della distanza di sicurezza e delle mascherine. L’augurio è che l’evento non abbia favorito un surplus di contagi da Covid. In vita, anche Maradona avrebbe condannato questa irresponsabilità collettiva.

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