Diario di un positivo inesistente

18 marzo, al risveglio la bocca non assapora il gusto del caffè, della marmellata, la lingua è impastata. Internet mi avverte: attenzione può essere un sintomo del Covid-19. Chiamo il medico di famiglia, mi chiede che farmaco sto assumendo. “Ah, mi suggerisce, prova a sostituirlo con l’originale. La sensazione può dipendere dall’eccipiente del medicinale equivalente che assumi”.  Obbedisco, ma il sintomo permane. “Dottore, non ha funzionato”. “Altri sintomi?” “Dolori muscolari, torcicollo, fastidi diffusi in tutto il corpo”.  “Se mi ricordo, li avverte da molto tempo…” “Vero, non devo preoccuparmi?” “Tranquillo”. “Sarà, ma non ci dormo, prendo una compressa di anti-ansia”.

14 giugno, ‘Geo’ manda in onda un fantastico documentario sulle meraviglie del Vietnam che cancellano in un attimo le immagini della distruzione del Paese bombardato dagli americani. All’improvviso una fitta, all’altezza del cuore, battito cardiaco accelerato. E perché se l’esito dell’ultimo controllo ha confermato che è tutto ok…allora? Chiedo lumi allo smartphone e, accidenti, mi provoca un nuovo choc da paura. ‘Sì, il coronavirus influisce anche sull’attività cardiaca’.  Lo specialista, professor Di Francesco mi tranquillizza, ma cede alla mia richiesta di una visita con ecg. “Tutto ok, ha il cuore di un ventenne”.

Ventisette ottobre, in fine di una calda giornata dell’‘estate di San Martino’, il viso accaldato preoccupa quanto la sensazione di spossatezza avvertita per tutto il giorno. Recupero il termometro dimenticato da anni in un cassetto del comodino, passo con energia un foglio di carta del rotolo da cucina sotto l’ascella e lascio trascorrere i quattro minuti prescritti dalle istruzioni. Leggo con timore la temperatura: 36 e 2. Stasera niente pillola ansiolitica.

8 novembre, seconda ondata di Covid in corso, esco solo per comprare un album Fabriano per i miei disegni in quarantena. La salita per raggiungere la cartoleria è lieve, ma sufficiente a procurarmi un mini deficit respiratorio, che si attenua liberando la bocca dalla mascherina. Lo dicono da mattina a sera, il contagio del Covid è da ricovero se i polmoni faticano a far respirare normalmente. Su Amazon cerco e trovo una decina di misuratori dell’ossigenazione, acquisto il modello che promette di esser consegnato il giorno dopo. Infilato l’indice nell’aggeggio e premuto il pulsantino di attivazione sul display del ‘respirometro’ si accende il numero 99.  Il ‘bugiardino’ informa che c’è da preoccuparsi solo se compare un numero inferiore a 90. Trovo la conferma della mia piena efficienza polmonare grazie a un profondo, normalissimo respiro.

Starnutisco, tossisco un paio di volte nel corso della serata…e me ne frego. Se lo riferissi al mio doc correrei il rischio di essere abbandonato. Guarisco a piccoli, decisivi passi, dallo status irrazionale di ansia. Si può.

Il racconto è in prima persona solo per comodità di scrittura, ma probabilmente sopporta l’estensione a innumerevoli casi di psicosi da coronavirus.

II genio di Umberto Galimberti, filosofo (ma psicologo, psicanalista), disvela in Tv il perché di un diario come quello descritto, che per fortuna del protagonista non ha prodotto che ricadute risolvibili dell’angoscia, in cui può trasformarsi la paura per un nemico sconosciuto, aggressivo e spesso senza possibile difesa. Non è ancora accertato se fatti anomali e misfatti, in casi estremi di folle disumanità, propri di questa difficile ondata del Covid, siano esiti di menti sconvolte appunto da angoscia indotta.

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