E il Covid si nutre di sovranismo

Superstiziosi o no, il suggerimento è: oggi, venerdì 17 di un’estate, che non desiste dal contare residui pandemici, non vi sposate e non partite, in obbedienza all’empiriche raccomandazioni delle nostre nonne. Leggete se amate la letteratura, disegnate o dipingete se l’estro asseconda abilità creativa e tecnica, disponete in ordine alfabetico per autori o titoli i volumi affastellati in prima e seconda fila nelle mensole, installate sullo smartphone l’applicazione ‘immuni’, provate a orientarvi nel labirinto scientifico di opinioni, esiti di ricerche, sperimentazioni, nel guazzabuglio di antitesi capaci di spiazzare i ‘poveri cristi’, che provano a capire come, quando e soprattutto se usciranno compiutamente dall’incubo di una pandemia molto simile a un atto di vendetta della natura contro la disumanità che la violenta. Nel ginepraio della competizione mondiale per salire sullo scalino più alto del podio, nel mondo intero, o quasi, non c’è laboratorio d’eccellenza che non indirizzi risorse umane e cospicui finanziamenti per ‘inventare’ l’antidoto del Covid e assicurare al proprio Paese la priorità nella vaccinazione di massa. Un giorno sì e l’alto pure si inseguono i proclami pubblicitari di questo o quel centro di ricerca che si propone come il più vicino alla produzione dell’antivirus. Anche con un’esplorazione sommaria del ‘fenomeno’ la logica della saggezza aspecifica, diciamo pure, da non addetti ai lavori, elabora un suo iter rispettabile. Solo in Italia, qua e là, da Nord a Sud, il contrasto al coronavirus ha conosciuto fasi di interessante, ma sconnessa ricaduta positiva sulla cura, specialmente della fase ‘terapia intensiva’ e inoltre, successive tappe del fondamentale l’accertamento del contagio con tamponi e altre metodologie. Allargando l’orizzonte dell’attività laboriosa, quasi frenetica, di ricerca della soluzione definitiva della pandemia, è arduo l’accertamento numerico di centri di ricerca, ospedali, laboratori farmaceutici, virologi, infettivologi, immunologi, che  dalla Cina, agli Stati Uniti, dai Paesi europei (Italia e Regno Unito in particolare)  sono contemporaneamente in corsa per consegnare all’industria di settore il vaccino con le indispensabili garanzie di efficacia e assenza di negatività collaterali. Impossibile mettere in colonna il totale delle cifre singole investite nella ricerca o il numero di scienziati coinvolti nel prezioso lavoro d’indagine, ma, anche se con approssimazione, si può ipotizzare che siano cifre elevate a grande potenza.
La ‘dispersione’ di intenti è plateale dimostrazione, che anche di fronte a un evento senza confini qual è la strage d’innocenti del coronavirus e la gravità del crac economico mondiale, il mondo non percepisce l’importanza determinante di uscire da logiche nazionaliste, viziate da interessi  autarchici e di immaginare la reunion di competenze e investimenti al servizio di un’ unica caleidoscopica struttura, sotto l’egida dell’organizzazione mondiale della sanità, che inglobi la più alta qualità, ovvero l’eccellenza scientifica mondiale, selezionata da ciascun  Paese con criteri rigorosi e documentati sul merito  dei prescelti.  Da un pool di siffatta dimensione qualitativa, ricca di competenze e molteplici excursus settoriali, è molto probabile, per non dire certo, che il complesso di interventi terapeutici e di prevenzione del Covid trarrebbe decisivi input in termini temporali e di efficacia. Utopia? Purtroppo sì. Lo confermano forme subdole di sovranismo, che per incompetenza (Trump, Johnson, Bolzonaro) o per demeriti da egoismo globalizzato (i casi di Brasile e India) presenta il conto salatissimo della pandemia. Presto, quindici milioni di contagiati, un tragico numero di morti e la prospettiva mondiale di recessione, grave come mai.

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