Il contagio delle povertà

Verrà il giorno in cui potremo raccontare con i verbi al passato remoto la maledizione della stramaledetta pandemia, che ha sospeso in bilico sulla testa dell’umanità un enorme spadone in grado di infliggere ferite mortali. Forse la labilità della memoria e le dinamiche di compensazione di cui è dotato il subconscio, avranno la meglio sui residui di pietas per la spaventosa stagione della Terra aggredita dal coronavirus, ma non potranno cancellare la vergogna dei morti da Covid-19 vittime di decisioni disumane. Centinaia di vite cancellate con cinismo, paragonabile anche se per eccesso, alla strage nazista di innocenti ritenuti inabili a lavorare nelle fabbriche di armi tedesche o perché non di razza ariana: sono gli over 70 colpiti dal coronavirus, respinti dai centri di terapia intensiva e smistati nei Ras, luoghi di assistenza agli anziani contagiati e stroncati dal Covid-19.
La condizione di povertà è più volte evocata come ‘peccato mortale’ dell’ingiustizia mondiale dal papa, con evidente commozione con un severo atto d’accusa della società mondiale. Anche per questo Francesco rischia la vita, minacciata da complotti di nemici interni, in rosso cardinalizio, e di fondamentalisti sparsi nel mondo, ma specialmente nell’America dei primatisti, del clero abbarbicato al potere temporale, all’omertà con pedofili e razzisti.
Povertà, in questo tempo aggredito dalla pandemia, è anche abissale diversità della ricaduta sullo status sociale delle popolazioni. Nel mondo occidentale, seppure con evidenti specificità, la pandemia si combatte con enorme dispiego di risorse umane, materiali e la prospettiva di tornare in tempi più o meno rapidi alla normalità. Nei luoghi del mondo dove l’acqua, il cibo, la tutela della salute, l’igiene, sono beni negati, l’incursione di virus come l’Ebola e ora il Covid-19 sono altrettante cause di stragismo senza difesa.
In forma e dimensioni ovviamente non paragonabili, anche un Paese evoluto qual è l’Italia rivela la presenza di un impianto sociale che include opulenze e miserie. Sono alla fame intere categorie di espulsi dal lavoro per combattere il contagio o prive di occupazione anche prima del coronavirus: precari, ambulanti, artigiani, addetti al fondamentale comparto del turismo, lavoratori in nero, commercianti, imprenditori. Quale comparazione è possibile e lecita tra chi si è isolato in un’abitazione di trecento metri quadrati, circondata da prato,  giardino, piscina e chi vive in un ‘basso’, o in quaranta metri per quaranta di un condominio popolare, con una famiglia numerosa, o peggio chi ha per tetto e pareti pezzi di cartone, chi per l’Italia non esiste, perché immigrato non riconosciuto dall’anagrafe, ma essenziale nell’agricoltura povera, per pochi euro al giorno, fatica da spezzare la schiena e un materasso in terra, nel totale degrado.
In quante case italiane (troppe) il computer è un oggetto fanta-tecnologico, un oggetto del futuribile, un lusso incompatibile con la povertà: la sua mancanza è un discrimine peggiore dell’analfabetismo post bellico, della carestia. In generale taglia fuori chi non lo ha dall’interazione con l’evolvere dei modelli di vita e nel caso specifico della Covid-19 è una menomazione leale.  La macchina complessa che prova ad ammortizzare le conseguenze della pandemia ha infatti nell’informatica la password per la sopravvivenza dei reclusi, la vita virtuale di relazione,  l’alternativa alla depressione da solitudine, la possibilità del confronto da un capo all’altro della Terra tra  quanti sono impegnati a trovare l’antidoto per il coronavirus. Un imperativo categorico di fine pandemia è allora la dotazione gratuita,  capillare, del computer a tutti gli italiani, con un’operazione sanificatrice simile al “Non è mai troppo tardi” del maestro Manzi che sconfisse analfabetismo negli anni ’50.
In poche righe.
Bill Gates (non esistesse bisognerebbe inventarlo), finanzia la ricerca e la produzione del vaccino anti Covis-19 allo studio bilateralmente da Italia e Inghilterra (Pomezia-Oxord). Lo conferma telefonicamente al premier Conte.
Lo squinternato Trump insiste: per sviare la responsabilità di aver snobbato il coronavirus e di chissà quanti morti che si potevano evitare,  continua ad accusare la Cina di aver generato il virus in laboratorio. Ora si schiera con i manifestanti armati di tutto punto del Michigan: “Sono brave persone, ma arrabbiate”. Ce l’ha, perché democratica, con la governatrice Whitmer, che saggiamente ha ordinato il “restate a casa” per impedire la diffusione della pandemia. L’incosciente tycoon teme di non essere rieletto e contro il parere universale degli scienziati incoraggia i governatori ad allentare le restrizioni. Che il suo dio lo assista! Rischia di provocare nuovi picchi della pandemia e di dover occultare altre vittime, portate via da camion militari e sepolte in fosse comuni.

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