NUOVI FASCISMI – PROCESSO PENALE O VIDEOGAME?

A proposito del regime in cui siamo stati calati senza che nemmeno ce ne accorgessimo, pubblichiamo l’articolo del presidente Unione Camere Penali  Gian Domenico Caiazza  che rende l’allucinante quadro del “Processo penale telematico” ipotizzato dal Governo. Uno scenario da brividi, che fa il paio con la pervicace volontà dell’esecutivo di mantenere ed inasprire il carcere per i giornalisti, come potete leggere QUI.

 

Gian Domenico Caiazza

La realtà come sempre, si incarica di illustrare meglio di ogni parola le ragioni e i torti. Volete avere una idea precisa di quale assurdità sia un processo penale celebrato su una piattaforma commerciale nata per organizzare conversazioni da remoto? Bene, preparatevi a seguire il processo che si intenderebbe celebrare, stando al decreto notificato alle parti, nei giorni 27, 28 e 30 aprile prossimi davanti al collegio della quarta sezione penale del Tribunale di Roma.
Oddio, “davanti” è una parola grossa, visto che -secondo quanto disposto nell’articolato avviso di udienza notificato alle parti- nell’aula di piazzale Clodio siederanno solo i tre giudici del Collegio ed il cancelliere per la verbalizzazione. Che è già qualcosa, per noi ostinati ed antidiluviani fanatici del processo penale in carne ed ossa, visto che, alla luce del decreto legge in via di conversione in questi giorni, ben avrebbero potuto quei tre giudici ed il loro cancelliere rimanersene perfino a casa loro in ciabatte, chi nel salotto chi in cucina, e da lì dirigere la prevista conversazione telematica a più voci (nessuno usi, vi supplichiamo, la parola “dibattimento”).
Ora, il processo è a carico di 69 imputati ed almeno altrettanti difensori, più sette parti civili ed altrettanti difensori. Ma siccome, ai sensi e per gli effetti di questo e di quello, e considerata la emergenza epidemica, «spetta al giudice ogni valutazione in ordine alle modalità di svolgimento delle udienze», ecco qui che il Collegio dà categoriche disposizioni a tutte le parti processuali, collocandole ora qui ora là, purché non in Aula. Innanzitutto, si indica la piattaforma, cioè Teams di Microsoft, secondo le indicazioni ministeriali. Ci rassicura, il Giudice, che il programma «è nella disponibilità di tutti», una affermazione che diventerà, potete scommetterci, il prossimo jingle pubblicitario della Microsoft. Non solo: le parti vengono anche tranquillizzate perché «a piattaforma Teams non richiede da parte dei soggetti invitati ad accedervi dal giudice che tiene l’udienza nessuna particolare conoscenza o abilità aggiuntiva». Insomma, se non sei capace di collegarti sei un perfetto idiota, dunque peggio per te.

 

 

Ma la parte più stupefacente di questo incredibile atto processuale è il gioco della assegnazione dei posti. Premesso che gli imputati detenuti si collegheranno dal carcere (non in videoconferenza, ma su Teams), «il Pubblico Ministero si collegherà dal proprio ufficio; gli imputati liberi e quelli agli arresti domiciliari si collegheranno dallo studio dei loro difensori; i difensori dai loro rispettivi studi professionali» ma, attenzione, «un solo collegamento per ciascun imputato», quindi se i difensori sono due, si arrangino entrambi presso uno dei due studi. Quanto ai testi di Polizia Giudiziaria, «dagli uffici di un servizio territoriale della propria Arma di appartenenza».
Quindi, il Tribunale dispone non solo che le parti debbano avere Teams su un proprio computer, e che debbano saperlo usare; ma dispone anche dei diritti proprietari degli avvocati rispetto ai propri studi, dove d’imperio non solo essi dovranno stare, ma dovranno altresì ricevere i propri assistiti e l’eventuale co-difensore (che dunque avrà invece l’obbligo di trasferta).
Potremmo già fermarci qui, e davvero non sappiamo se ridere o piangere, pensando a quel paio di centinaia di questioni ed eccezioni che, già solo per questo, gli almeno settanta avvocati solleveranno dai loro quadratini, in un impazzimento di linee che vanno e vengono, immagini frizzate, “avvocato non la sento”, “Presidente non la vedo” o, per citare Verdone, “c’ho solo du’ tacche”. Perché è pura fantascienza immaginare che questa grottesca mostruosità che dovrebbe chiamarsi “processo” possa fare un solo millimetro oltre la costituzione delle parti, e sono certo che anche la Camera Penale di Roma sia pronta a fare come sempre la sua parte.

Ma il fatto è che ci sentiamo sopraffatti da un sentimento che è al tempo stesso di indignazione e di mortificazione, per il solo fatto che un simile scempio possa essere stato anche solo concepito: il rito sacro del processo penale degradato ad un videogame con tanto di assegnazione autoritativa delle postazioni, fin dentro gli studi professionali dei difensori. Tutto ciò ci dà la esatta misura del degrado, che sembrerebbe davvero inarrestabile, a cui è giunta nel nostro Paese la considerazione del processo penale, un rito millenario che viene umiliato e ridicolizzato non in nome, ma con il pretesto della emergenza sanitaria, per ridurlo in modo definitivo ad una pratica burocratica da sbrigare con le minori seccature possibili. Ha ragione Papa Francesco -e l’analogia non è affatto blasfema- che di celebrare messa su Teams proprio non vuole saperne. Riflettevo su come da anni ormai dal soglio pontificio risuonino parole straordinariamente lucide e forti di condanna del populismo penale e del giustizialismo. E visto che, da ultimo, sono state perfino separate le carriere tra giudici e pubblici ministeri, finiremo per implorarla, Santità, di accoglierci, laici e credenti, nelle Aule dei suoi Tribunali, per riconquistare dentro quelle mura una volta temibili la dignità perduta del processo penale.

 

Articolo tratto dalla pagina Facebook di Gian Domenico Caiazza

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