CORONAVIRUS – IL GRANDE BLUFF TARGATO CINA

Stiamo vivendo da protagonisti nel più colossale spot pubblicitario di tutti i tempi. Creato dalla più gigantesca agenzia di comunicazione per dimostrare al mondo di cosa è capace una superpotenza in meno di una settimana e fino a che punto può dirigere i destini dell’economia mondiale annientando in poche ore competitor dotati dei maggiori armamenti nucleari al mondo.

Il prezzo da pagare per ottenere tutto questo, il governo cinese lo conosceva fin dall’inizio. Diciamo che faceva parte del “budget”. Un po’ come avvenne nel 2001, quando gli Stati Uniti pagarono un alto tributo di sangue con il crollo delle Torri Gemelle, ma sapevano che un prezzo ben più alto avrebbero pagato se non ci fossero stati gli attentati, con Wall Street sul punto di crollare da un momento all’altro.

Cosa ha potuto spingere il governo di Xi Jinping prima a creare nei laboratori di Wahan e, poi, a disseminare nel mondo intero un virus modificato della comune influenza, capace di spargere tra le nazioni la bomba, ben più letale, del terrore?

Qui e nella foto di apertura immagini degli scontri di fine 2019 a Hong Kong

Prim’ancora della leva economica, vale la pena di guardare più da vicino la chiave politica della vicenda. Cominciando da ciò che stava accadendo – o stava per accadere – in Cina poche settimane prima che scoppiasse l’”epidemia”.

Il 12 novembre 2019 l’assalto della polizia sulle migliaia di manifestanti ad Hong Kong segna uno dei momenti più incandescenti della rivolta che serpeggia da anni – almeno dal 2014, anno della fallita “Rivoluzione degli ombrelli” – e infiamma fin dai primi di marzo l’ex colonia britannica. «I manifestanti – scrivono gli inviati della Reuters James Pomfret, Greg Torode, Clare Jim e Anne Marie Roantree in un articolo su Internazionale – definiscono provocatoriamente le proteste un’“era di rivoluzione”, una formula che ha fatto infuriare il Partito comunista cinese al potere, determinato oggi a soffocare ogni tentativo di sfida al suo monopolio sul potere».

E il 27 novembre Donald Trump firma la “legge sui diritti umani e la democrazia a Hong Kong”. «Il documento – ricostruisce Giulia Sciorati dell’ ISPI – sancisce la presa di posizione diretta su Hong Kong da parte degli Stati Uniti». Durissima la reazione di Pechino: «Gli USA devono smetterla di interferire a Hong Kong e con gli affari interni della Cina. Se gli Stati Uniti continueranno a perseguire questa strada, la Cina sarà costretta a intraprendere forti contromisure per difendere la sua sovranità nazionale».

«Il tema della contestazione politica – sottolinea Sciorati – è sempre più centrale nelle preoccupazioni delle autorità cinesi. In un momento particolarmente delicato per Pechino, che oltre alla guerra commerciale con gli Stati Uniti si trova a dover far fronte a una serie di sfide interne per il mantenimento della stabilità e dell’integrità dello stato, una nuova ondata di proteste provenienti da Hong Kong non fa che rafforzare la repressione di Pechino contro qualsiasi tipo di contestazione». Né va sottovalutato che il 2019 è l’anno degli “anniversari difficili” per il PCC, a cominciare dal trentennale dalle proteste di piazza Tienanmen, drasticamente censurato sulle piattaforme di comunicazione cinesi.

Ma c’è ancora dell’altro: il precedente dell’ex colonia di Sua Maestà dopo l’estate 2019 aveva già cominciato ad estendersi verso altre regioni contese, come Macao, Taiwan, Tibet, Xinjiang e Mongolia interna. Ed rischiava di saltare anche il progetto della Greater Bay Area, «enorme zona economica e finanziaria – si legge ancora nell’articolo dell’ISPI – che comprenderebbe anche Hong Kong e sarebbe in grado di rivaleggiare con le baie di San Francisco e Tokyo. A causa delle continue proteste, tuttavia, Pechino sta ora vagliando la possibilità di riformare i suoi piani operativi per la Greater Bay Area».

Xi Jinping

Il governo di Pechino comprende a questo punto che la protesta si sta estendendo a macchia d’’olio. E presto potrebbe dilagare in tutta la Cina. Il mondo intero, cui viene regolarmente oscurato il volto feroce della dittatura cinese, vede sfilare nel fiume di manifestanti che accende Hong Kong il simbolo della libertà contro l’oppressione insostenibile del Partito Comunista Cinese.

Xi Jinping e i suoi hanno ben chiaro che arrestare oltre 4.000 persone, o sottoporre i manifestanti a tortura fino ad ucciderli, non serve a fermare l’ondata di libertà.

 

PARTE LA SFIDA DELL’EPIDEMIA GLOBALE

Torniamo all’inizio e domandiamoci, alla luce di tutto questo scenario, il fatidico cui prodest? Chi aveva interesse, nel dicembre 2019, a scatenare una guerra batteriologica nel mondo, mostrando così agli avversari la propria forza muscolare, esercitata non coi cannoni, bensì spargendo sui continenti un minuscolo essere vivente e facendo credere che lo stesso sia più micidiale di una bomba atomica?

Operazioni di questa portata interplanetaria richiedono ovviamente strateghi adeguati. In grado di controllare i media in ogni angolo del pianeta con parole magiche lanciate come slogan infallibili: contagio, epidemia, pandemia e poi quel termine, “Coronavirus” che non si sa da chi sia stato creato, ma di sicuro in tanti ha evocato lei, Queen Elisabeth, e i tempi del colonialismo britannico su Hong Kong.

Il resto è storia che in qualche modo è stata già scritta. Che il micidiale agente patogeno sia un virus modificato nel mega laboratorio di Wuhan, è ormai storia: Francis Boyle, docente di diritto all’Università dell’Illinois che nel 1989 ha redatto il Biological Weapons Act, la legge sull’antiterrorismo per le armi biologiche, sostiene che il coronavirus, “un’arma da guerra biologica potenzialmente letale”, sarebbe “fuoriuscito da un laboratorio di massima sicurezza” di Wuhan, precisamente il laboratorio BSL-4, centro di ricerca dell’Organizzazione mondiale della Sanità: per questo, secondo Boyle, la stessa Oms “non poteva non sapere”.

Così come viene tirata fuori al momento opportuno la “profezia” contenuta nel thriller del 1981 The eyes of darkness dello statunitense Dean Koontz, con la pandemia virale che sarebbe partita dalla Cina e scoppiata nel 2020.

Qualcuno, anzi, ha già immaginato all’opera i “creativi” cinesi che, per pianificare la campagna di stampa mondiale, prendono come spunto proprio il romanzo di Koontz.

Tante, troppe coincidenze. Che, passati i primi momenti di shock globale, oggi inducono a riflessioni più razionali e sensate.

Illuminante l’articolo del blogger Simone Galgano su Libre, sito di controinformazione. La prova di forza del Drago, per Galgano, ha già dato i suoi risultati, «sacrificando solo sul breve termine la sua   economia, distruggendo indirettamente le nostre economie che investono in Cina e che magari producono in occidente, puntando su un’economia autarchica, nazionalista in netto contrasto con la globalizzazione vigente, mostrando infine al mondo che avrebbe tutte le possibilità per sostenersi con le sue gambe».

Ci va giù pesante anche Giulietto Chiesa, da par suo, che intervista il Premio Nobel Luc Montaigner, il quale «ha condiviso la mia incredulità sul fatto che il virus sia nato nel mercato di Wuhan per poi saltare da un animale, e ancora non si sa quale, all’uomo», dice Chiesa ad Affari Italiani, che riporta integralmente la video-intervista.

 

INTANTO TORNANO I MOSTRI DEL MES

Mentre gli italiani restano letteralmente “appesi” ai teleschermi per ascoltare, avidi, le ultime notizie sul “contagio”, il governo Conte ottiene vantaggi forse perfino superiori (si fa per dire) rispetto a quelli cinesi. Intanto è rimasto in sella, mentre fino a poche ore prima dell’a “epidemia” Renzi stava per far saltare il banco sulla prescrizione. La famigerata legge sulla prescrizione, appunto, non la contesta più nessuno. E, anzi, per rincarare la dose passa nel silenzio pure la stretta sulle intercettazioni, con virus Troian a volontà a spiare tutte le conversazioni degli italiani.

Come se non bastasse, sempre nel più generale silenzio si riaffaccia lo spettro di una manovra lacrime e sangue. Come scrive su Econopoly, supplemento del Sole 24 Ore, Costantino De Blasi, «il timore di chi scrive è che, una volta passata l’emergenza, sarà necessario un nuovo, pesante consolidamento fiscale alla stregua di quanto fatto dal Governo Monti in piena crisi dei debiti sovrani. Quando le condizioni di normalità saranno ristabilite e i sistemi di scambi internazionali torneranno ad essere quelli precedenti a quelli di questi giorni, sarà inevitabile rivedere il rigore che vedemmo nel 2012».

 

Heather Parisi, che da anni vive a Hong Kong

QUI HONG KONG, TUTTO TACE

E a Hong Kong? Cosa resta della fiammata di fine 2019 per la libertà? Sulla calma piatta determinata dal fantasma del contagio arriva la testimonianza di una vip assoluta, la ballerina Heather Parisi, che vive sull’isola da anni con marito e figli. « La mia vita ai tempi del Coronavirus – racconta al settimanale Oggi – si svolge tra il tinello e la cucina di casa. Trascorro il tempo a leggere a cucinare e soprattutto a insegnare ai miei gemelli che fanno home-schooling dall’età di cinque anni. Ascensori e scale mobili vengono sterilizzati ogni due ore e tutti si disinfettano le mani prima di entrare in un edificio pubblico. La temperatura oramai viene misurata ovunque. Io la misuro anche a chi viene a trovarmi a casa, benché la mia vita sociale sia ridotta davvero ai minimi termini».

I moti “liberazione” dalla Cina, ovviamente, sono ormai solo un ricordo.

 

 

 

 

Per avere una completa visione “politica” della genesi del Coronavirus, Andrea Cinquegrani invita a rileggere l’inchiesta della Voce del 30 gennaio scorso.

CORONAVIRUS II°/ IL LABORATORIO SEGRETO DI WUHAN – I MEGA BUSINESS AMERICANI

– di: Andrea Cinquegrani

Al centro di Wuhan, la megalopoli cinese dove si è registrato il primo caso di coronavirus, da tre anni è stato installato un gigantesco laboratorio in cui vengono studiati i più letali virus al mondo. Più che pensare al mercato del pesce da cui sarebbe partito il virus, non sarebbe il caso di riflettere su …read more →

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