GAVIO & C. / LE MANI IN PASTA

Non solo affari autostradali & infrastrutture miliardarie a casa Gavio. Adesso si scopre che hanno anche il pallino per il grano, oltre a quello per la grana, senza dimenticare alcune grane giudiziarie, a partire dal fresco crollo del viadotto sulla Torino-Savona.

Il logo del gigante SIS, Società Italiana Sementi. Nel fotomontaggio di apertura il tratto crollato della Torino-Savona

E con le mani in pasta troviamo la “crema” di finanza e industria di casa nostra: da mister Big Pharma Sergio Dompè alla Fondazione Cariplo, dal gruppo tutto carne dei Cremonini all’imprenditrice Ornella Randi Federspiel, dalla Cassa di risparmio di Lucca alla misteriosa Aurelia srl.

La metà delle quote, comunque, fa capo ad un altro pezzo da novanta nel settore verde, la Coldiretti. Appena uscito dalla compagine, invece, Carlo De Benedetti.

Tutti insieme, appassionatamente, sotto l’ombrello di un colosso del settore alimentare ed in particolare del ricco comparto di semi e sementi: si tratta di SIS, acronimo di Società italiana sementi, che da tre anni è licenziataria unica nel produrre e vendere il celebre “Grano senatore Cappelli”.

Sigla milionaria che è stata appena raggiunta da una pesante sanzione, pari a 150 mila euro, inflitta dall’Antitrust, per una serie di infrazioni da brivido.

Ma vediamo più da vicino i contorni dell’affaire.

 

PIATTO RICCO MI CI FICCO

Beniamino Gavio

Mentre ne conosciamo molto bene uno, Coldiretti, che detiene il 53 per cento delle azioni di SIS, vediamo più da vicino l’altra metà delle quote, rappresentata dalla storica sigla “Bonifiche Ferraresi” e dai suoi soci.

La società ha assunto la denominazione prima di B.F. Holding spa e oggi semplicemente di B.F spa.

Lunghissima la sua storia, che nasce nel 1871 in Inghilterra con il nome di Ferrarese Land Reclamation Company Limited ed ha come oggetto sociale la “bonifica di laghi, l’acquisto di paludi e terreni nelle vicinanze di Ferrara e in altre località del Regno d’Italia o la compera di canali, corsi d’acqua, lavori d’irrigazione, moli, scali, ferrovie, strade, fabbricati e macchine locomotive”.

La crisi del 1929 creò una situazione pesante, fino alla richiesta di concordato preventivo del ’30. Venne quindi salvata dalla neonata IRI e riprese a macinare grani & affari, con una portafoglio-terreni stratosferico. Si tratta di ben 6.500 ettari concentrati soprattutto nel ferrarese (frazione Jolanda di Savoia e Mirabello), ma anche in provincia di Arezzo ed in quella di Oristano (Arborea).

Tutto questo ben di Dio ne fa il primo proprietario terriero in Italia.

 

LE ACCUSE DELL’ANTITRUST

Ma veniamo alle polemiche attuali e soprattutto ai motivi che hanno portato alla sanzione dell’Antitrust.

Che così si possono subito sintetizzare, proprio attraverso le frasi dell’Autorithy: “L’Autorità ha accertato tre distinte condotte dell’impresa contrarie alla disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari. In particolare SIS, che detiene l’esclusiva sulla commercializzazione delle sementi del grano della varietà ‘Cappelli’, in base ad un contratto di licenza stipulato nel 2016 con il CREA (il principale ente di ricerca italiano sul fronte delle filiere agroalimentari controllato dal ministero per le Politiche agricole, ndr), ha: 1) subordinato la fornitura delle sementi alla riconsegna da parte dei coltivatori del grano prodotto, imponendo alle controparti un rapporto cosiddetto ‘di filiera’; 2) ritardato o addirittura rifiutato in maniera ingiustificatamente selettiva la fornitura delle sementi ai coltivatori (privilegiando in modo smaccato gli iscritti alla Coldiretti, ndr); 3) aumentato in maniera significativa ed ingiustificata i prezzi delle sementi (e quindi anche i prezzi finali al consumatore, ndr)”.

Passiamo in rapida carrellata i tre capi d’accusa, contenuti anche in una denuncia presentata dalla Confagricoltura contro la Sis.

Sis, infatti, ha imposto la stipula di contratti di coltivazione; ossia, oltre a vendere in esclusiva le sementi, ha obbligato i coltivatori alla consegna di tutta la granella, ossia il ‘raccolto Cappelli’, che poi a sua volta ha rivenduto sul mercato ai pastifici.

Commenta il Salvagente, la storica rivista a fianco dei consumatori: “Il cerchio insomma si chiudeva e il licenziatario di un bene pubblico aveva nei fatti creato una filiera chiusa: Sis era l’unica a vendere la semente e per di più, come scrive l’Antitrust, ‘facendosi forte dell’esclusiva’ esigeva la riconsegna del raccolto, una circostanza non prevista dalla licenza concessa dal Crea”.

Questo obbligo, scrive ancora l’Antitrust, “negava all’agricoltore anche il cosiddetto ‘privilegio, ovvero la possibilità di reimpiegare parte del raccolto per la semina dell’anno successivo”.

Né più né meno di quanto per decenni ha combinato il colosso di fertilizzanti e sementi a livello internazionale, Monsanto (oggi fusa in Bayer), con i super sfruttati contadini sudamericani e non solo!

 

UN VERO SCIPPO

Del resto conferma Giuseppe Scaraia, proprietario dell’omonima società che fino al 2016 ha detenuto la licenza insieme alla sarda Selet: “Noi non abbiamo mai messo alcun vincolo contrattuale alla vendita del seme, tanto meno l’obbligo di riconsegnare il raccolto. La disdetta della licenza nel 2016 è stata improvvisa e ci ha fatto perdere un sacco di soldi: io non vado contro i mulini a vento ma è chiaro che si è trattato di uno scippo”.

Più chiari di così…

Ribadisce il direttore generale di Confagricoltura, Francesco Postorino: “Nel contratto di affidamento Crea-Sis non c’è scritto da nessuna parte ‘filiera chiusa’ anche se, nei fatti, la vendita dei semi Cappelli è stata gestita in questo modo: perché in questo caso Sis non stava solo sul mercato ma era il mercato stesso, violando le regole della concorrenza”.

Passiamo al secondo, pesante addebito. Quello di aver ritardato e in molti casi addirittura rifiutato di fornire le aziende agricole, a seconda della sigla sindacale di appartenenza.

Saverio De Bonis

Sottolinea l’Antitrust, basandosi anche sul contenuto di alcune e-mail interne alla Società Italiana Sementi: “all’interno di Sis l’appartenenza attuale o prossima di un coltivatore a Coldiretti viene indicata in gergo come ‘targa’. Da numerose evidenze agli atti emerge inoltre in maniera distinta come le decisioni da parte di Sis di fornire o meno le sementi siano dipese in maniera ricorrente dalla riconducibilità dei coltivatori richiedenti alle diverse organizzazioni associative degli agricoltori operanti su base nazionale; in particolare, in positivo alla Coldiretti e in negativo alla Confagricoltura”.

Naturalmente conferma la circostanza Pastorino: “alcuni nostri associati ci hanno detto che hanno addirittura firmato i contratti di fornitura presso una sede di Coldiretti”.

Scrive l’Antitrust: “Sia ha ritardato o definitivamente denegato la fornitura di sementi in maniera ingiustificata, discriminando tra coltivatori richiedenti sulla base di considerazioni del tutto sconnesse da motivazioni obiettive”.

 

PREZZI ALLE STELLE

Eccoci ai prezzi lievitati a dismisura. Si tratta di un aumento del 60 per cento in tre anni, ossia da quando Sis è subentrata nella licenza al precedente tandem d’imprese.

Teresa Bellanova

Punta l’indice l’Antitrust: “Sis non appena ottenuta l’esclusiva sulle sementi ha praticato un incremento di prezzo assai significativo, risultato ingiustificato rispetto agli impegni e spese sostenuti da Sis in quel momento, procedendo ad ulteriori aumenti di prezzo anche negli anni successivi”.

Cercano di mettere una pezza a colori i dirigenti Sis: “Abbiamo aumentato la qualità del seme, tanto che se prima servivano due quintali per seminare un ettaro ora ce ne vogliono meno, circa 1,5 quintali”. Boh.

Ha da poco presentato un’interrogazione parlamentare il senatore ex 5 Stelle Saverio De Bonis, presidente di una sigla storica nell’associazionismo in campo alimentare, Grano Salus. De Bonis chiede al ministro delle Politiche agricole che venga revocata la licenza alla Sis: “Le regole del mercato valgono per tutti, soprattutto per chi ha ricevuto una licenza di Stato. La questione dovrà essere approfondita perché se è vero che c’è tutta questa disponibilità di grano Cappelli, mi chiedo perché ci siano così pochi pacchi di pasta in vendita. Dove sono finiti i ‘ricchi’ raccolti di questi ultimi tre anni? E perché i pochi marchi che confezionano la pasta Cappelli, da nostre analisi effettuate sul Dna, non sempre sono puri al 100 per cento?”.

Domande alle quali in governo, a quanto pare, fino ad oggi non ha risposto. Perché il ministro Teresa Bellanova non si dà una mossa?

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