SANGUE INFETTO / DOPO 43 ANNI CONDANNATO IL MINISTERO

Dopo 43 anni il ministero per la Salute ha dovuto pagare 700 mila euro di risarcimento danni ai familiari di una donna che aveva contratto epatite C a causa di una trasfusione di sangue infetto praticatale in un grosso ospedale napoletano, il Loreto Mare.

Una storia non poi tanto ai confini della realtà, dal momento che tante persone sono morte in modo molto simile – dopo assunzione di emoderivati infetti – e non avranno mai giustizia: vengono stimate in almeno 5 mila le vittime la cui vita è stata calpestata, anche da una giustizia fino ad oggi sempre assente.

Ma vediamo il caso, mosca bianca, appunto, tra migliaia di giustizie negate.

Tutto comincia nel 1976, quando la donna viene sottoposta ad alcune trasfusioni al Loreto Mare per compensare le perdite di sangue in seguito al parto cesareo al quale è stata sottoposta. Tutti sanno che la latenza dei virus è molto lunga, spesso ultradecennale.

Ed è così che i primi sintomi di epatite C si manifestano quasi vent’anni più tardi, nel 1995. Il decorso della malattia è molto lungo, e alla fine del calvario muore, nel 2013, per cirrosi epatica e scompenso ascitico (il ventre si era cioè gonfiato a dismisura per la presenza di liquidi ascitici).

Comincia la battaglia legale, perché c’erano tutte le prove documentali circa quelle trasfusioni ed era palese (come dovrebbe essere – ma non è quasi mai – in tutti i casi) il nesso causa-effetto, ossia tra quelle trasfusioni killer e poi l’insorgenza, anche se a distanza di tanti anni, della patologia.

Il tribunale di Napoli

Adesso la sesta sezione civile del tribunale di Napoli ha pronunciato la sentenza (è del 15 novembre), con la quale il ministero della Salute viene condannato al risarcimento perché avrebbe dovuto “dirigere, autorizzare e sorvegliare” sulla circolazione del sangue e degli emoderivati, ma non lo fece.

In pieno accoglimento delle richieste avanzate dai familiari, il tribunale ha rigettato l’eccezione di prescrizione, precisando che per il danno della perdita parentale il termine di prescrizione è decennale e inizia a decorrere a partire dalla data del decesso.

Ed ha ben precisato, la sesta sezione civile, “il nesso tra le trasfusioni di sangue infetto, la contrazione della patologia e la conseguente morte della donna”, condannando il ministero della Salute che “ha omesso di effettuare i necessari controlli in ordine alla sicurezza e tracciabilità del sangue”.

Il caso precedente di risarcimento danni è stato di gennaio 2019, dieci mesi fa, quando lo stesso ministero ha dovuto sborsare una cifra ancor più alta, 1 milione di euro, per risarcire gli eredi di una donna che nel 1983, all’Ospedale di Caserta, venne avvelenata dal plasma utilizzato dai medici durante il suo ricovero. Stavolta il percorso è stato meno lungo, appena 36 anni.

Sorge spontaneo un raffronto. Otto mesi fa la sesta sezione penale dello stesso tribunale di Napoli, dopo ben 3 ani di processo, ha pronunciato una sentenza “storica” in occasione dell’altrettanto storico processo per la strage di sangue infetto, cominciato a Trento a fine anni ’90, poi passato a Napoli dove si è arenato per anni, fino a riprendere nella primavera 2016 e a morire in quella del 2019.

Tutti assolti gli imputati, perché “il fatto non sussiste”. Puri e immacolati i dirigenti delle aziende dell’ex gruppo Marcucci (all’epoca e ancor più oggi oligopolista nella lavorazione e commercializzazione di emoderivati), candido come un giglio l’ex re mida della Sanità ministeriale Duilio Poggiolini, allora ottimo amico di Sua Sanità Francesco De Lorenzo. Tutti santi, subito.

Non è stato in alcun modo dimostrato dalle parti civili – sostenne il giudice Antonio Palumbo nella sua sentenza – il nesso causale tra l’assunzione di emoderivati e insorgenza della patologia.

Quel famoso nesso che invece ora, nelle due sentenze “civili” dello stesso tribunale balza in tutta la sua evidenza.

A voi trarre le conseguenze…

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