Meno tre: una domenica non solo per l’Europa.

Ne abbiamo viste di tutti  colori. E però, mancava  un “governo del poi”. Di Maio e Salvini hanno colmato la lacuna. I gialloverdi del “dopo ”   somigliano alle domestiche sfaticate, che nascondono lo sporco sotto i tappeti per non  raccoglierlo. A un niente dal voto per le europee, al fine di non ammettere inefficienza, promesse da marinaio, proclami propagandistici surreali e  inattuabili, impongono l’alt ad ogni atto dell’esecutivo, rinviano il confronto all’interno di un consiglio dei ministri che si annuncia come un’altra   manche della rissa  tra partner incompatibili e gareggiano in ballon d’essai inventati da Achille Lauro (pacchi di pasta in cambio di voti e più tardi dal cavalier Berlusconi che alla vigilia di ogni elezione promette un milione di nuovi posti di lavoro). Questi emuli da strapazzo che ci s-governano fanno i conti senza l’oste e l’oste ce l’hanno in casa. Tria, che pure affida la credibilità del governo al poi della seconda metà del 2019, con la residua onestà professionale che gli è rimasta, ammonisce i Dioscuri Castore e  Polluce, al secolo Salvini-Di Maio: “Fermi tutti, niente promesse. La cassa piange e non consente impegni finanziari”. Di qui l’escamotage del “poi” che sputtana i due viceministri. Specialmente Salvini che deve rimangiarsi un minaccioso “domani si approva in consiglio dei ministri il decreto sicurezza bis”, quello famigerato bocciato dall’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani e che il Presidente della Repubblica giudica irricevibile.
Si va così al voto, con l’incognita di un governo in stato comatoso, in prognosi riservata, finito da tempo se non prevalessero gli interessi di bottega di gialli e verdi e la ferma opposizione dei loro deputati e senatori allo scioglimento delle Camere, che temono il test di nuove consultazioni, ovvero di non essere rieletti, ovvero di perdere l’unica fonte di reddito. La vocazione del “poi” è specialmente condivisa dai soci di governo in queste ore di vigilia del voto e solo gli ingenui credono alle motivazioni ‘tecniche’ del rinvio del consiglio dei ministri alla prossima settimana. I due alleati-nemici si riservano di decidere se mandare in coma lo squinternato sodalizio, le reciproche accuse di slealtà, gli insulti preelettorali, le minacce di veti incrociati o proseguire nel percorso accidentato che prima o poi franerà con la bocciatura degli italiani disillusi. Più  vicina all’arrivederci e grazie è sicuramente la Lega e Giorgetti, alter ego di Salvini, non lascia dubbi all’intenzione di sganciare dal treno del governo il vagone  su cui viaggiano i 5Stelle: “Così non si può andare avanti”. Il Colle esercita pienamente il suo prestigioso ruolo istituzionale e impone l’alt allo sciagurato decreto sicurezza bis di Salvini e al velleitario, propagandistico provvedimento per le famiglie, privo di copertura finanziaria. Smontate le due strategie acchiappa voti, il “governo del poi” deve rispondere a una serie di flop. Aumenta la disoccupazione, la salute dell’economia è precaria, censurata dalla Comunità europea, il caposaldo della propaganda di Salvini sicurezza è in clamoroso default, il reddito di cittadinanza è un pasticcio colossale, la flat tax una chimera.
Il post voto ipotizza la iattura di una possibile variante di governo Salvini-Berlusconi-Meloni, magari con qualche ministro o sottosegretario delle compagini  neofasciste (Casa Pound, Forza Nuova). Non è secondario averne consapevolezza, al momento di mettere una X sulla scheda elettorale.

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