Ucraina – Il comico Zelenskij e il disgusto degli elettori

Vladimir Zelenskij ha stravinto, mandando in pensione (sempre che non gli convenga, usando i suoi nuovi poteri, aprire qualche inchiesta penale) il presidente ucraino Petr Poroshenko. Ma il risultato della sua vittoria ha, di strabiliante, solo la disperazione e il disgusto degli elettori che lo hanno provocato. Zelenskij non aveva e non ha un programma, salvo quello che è uscito dalla sua bocca durante i suoi spettacoli: “chiamiamo la polizia e mettiamoli tutti in galera.”

Una cosa che appare molto simile al “vaffa” di Beppe Grillo, e alla sua promessa di “rivoltare l’Italia come un calzino” una volta preso il potere. Per Grillo, come si è visto, non è stato così facile. Per Zelenskij tutto lascia pensare a una impresa impossibile. L’Ucraina uscita dal colpo di stato di Euromaidan ha un debito letteralmente “impagabile”, un deficit che non si vede come possa cancellare, un’industria che va indietro, un’inflazione incontenibile, un’indipendenza azzerata, un’agricoltura che non ha esportazione.

L’avventura, cavalcata col Settore Destro (aiutati da CIA e polacchi) e banderisti (seguaci del nazista Bandera) di Svoboda si è conclusa con la perdita della Crimea e di due repubbliche autoproclamate, nel Donbass. Il voto dice inequivocabilmente che la stragrande maggioranza degli ucraini si è pentita di aver “lasciato fare” agli avventuristi anti-russi. Ma, non essendoci nessuna alternativa ragionevole a normali rapporti con la Russia, ha votato un attore comico la cui autonomia politica è inesistente. In attesa di un miracolo che non verrà.

Certo non verrà dall’Europa. La quale, a sua volta, dovrà riformulare i suoi piani non appena si renderà conto che il voto del 21 aprile è stato anche un voto contro Bruxelles e non solo contro Poroshenko. Le responsabilità europee, quelle della Merkel in primo luogo, sono infatti clamorose. Se l’Europa non avesse incoraggiato i golpisti, la storia avrebbe preso un’altra direzione. L’Europa di cinque anni dopo non ha più niente da proporre; coloro che fecero promesse irrealizzabili, con ogni probabilità se ne andranno il 26 maggio. Quelli nuovi, che arriveranno, sono orfani di mamma America, che ha cambiato sesso e non si chiama Hillary, ma Donald.

E Donald ha poche idee e confuse, salvo quella — impossibile — di riportare l’America in prima posizione mondiale. È un’America, quella di Trump, che come sempre impartisce ordini. Ma ora questi ordini sono diventati molto strani, spesso contraddittori, comunque imprevedibili. L’unica cosa certa è che papà Donald vuole più soldi dagli alleati europei, i quali cominciano lentamente a capire che quei soldi servono solo a soddisfare i capricci di un imperatore lunatico.

Certo è, in ogni caso, che l’unico che manterrà gl’impegni verso l’Ucraina — comunque assegnandone il costo agli alleati — sarà proprio Trump: facendola entrare nella Nato. Per tenere alta la pressione su Mosca. Non si sa mai. Il presidente americano non è entusiasta degli europei, ma qualche cosa bisogna pur concedere allo stato profondo che vuole fargli la festa, nel senso che i cacciatori danno al loro agognato incontro con la lepre. In tal modo gli elettori ucraini che odiano la Russia con tutto il cuore avranno l’impressione di essersi avvicinati all’Occidente almeno un pochettino, mentre si staranno candidati a finire arrosto per primi in caso di aggravamento della situazione internazionale.

Ma questa eventualità è comunque un pochino più lontana adesso, con Zelenskij, di quanto non fosse prima, con Poroshenko. Il giovane presidente, il più giovane nella breve storia dell’Ucraina, dovrà formare la squadra, guardarsi intorno all’interno, scegliere i suoi protettori esterni in un campo pieno di mine. In primo luogo dovrà studiare i risultati della sua vittoria. Vedrà infatti che a votarlo di più sono stati gli elettori dell’est e del sud-est, specificamente di Kharkov e di Odessa: che sono le provincie e le città dove i cittadini ucraini di etnia russa sono molto numerosi e in qualche caso maggioritari.In fin dei conti anche per lui il russo è lingua madre. Se non ne terrà conto farà fatica a tenerli buoni. La questione più urgente sarà quella di tenere insieme un paese che è incrinato da molte linee di faglia. Gli oligarchi che hanno dato il benservito a Poroshenko non hanno dimostrato di avere una statura politica all’altezza di un paese così grande e così importante per gli equilibri europei. Vedremo se Zelenskij sarà capace di frenare la loro famelica ambizione. Se non ci riuscirà potrebbe non durare un quinquennio.

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