Articolo 3: inevaso

Costituzione Italiana, articolo numero 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Vediamo: le donne sono discriminate. Le lavoratrici a parità di incarico con gli uomini percepiscono paghe inferiori, le cosiddette quote rosa in politica sono un’utopia, la loro presenza è rara ai vertici di aziende e professioni. Parti dignità? E’ un dettato costituzionale largamente inevaso. Peggiore è la persecuzione degli omosessuali, la negazione delle coppie di fatto. La parola razza va coniugata con l’intollerabile derivazione “razzismo”, in tutte le sue forme di esclusione dirette o indirette. La cronaca italiana, la xenofobia a dimensione mondiale, raccontano di violenze e disconoscimento di etnie “altre” rispetto alla razza bianca. Nuove forme di schiavismo sono praticate in tutto il mondo. L’estremo è nello sfruttamento dei migranti, costretti a lavori massacranti per pochi euro e a condizioni di vita subumana, dei bambini, che per sopravvivere scavano nella montagne di rifiuti. Opinioni politiche? Chi ha il potere tende a soffocare le voci del dissenso con ogni mezzo, perfino con la minaccia di zittirlo con interventi di sabotaggio dei media. Per giudicare l’attuazione dell’articolo 3, al punto della condizione personale, vale la citazione statistica delle povertà, dei sei milioni di italiani con un reddito al di sotto della soglia di sopravvivenza. Ultimo, non meno rilevante è l’assunto della parità tra credenti di diverse fedi. Mezza Italia rifiuta di concedere ai musulmani e ad altri culti spazi di preghiera e questa è la premessa per introdurre una questione che sembrerebbe secondaria, racchiusa nella scelta personale della signora Marina Nalesso, che un giorno sì e l’altro pure alle 16 e 30 conduce il Tg1. Lei ha il garbo di presentarsi quasi ogni giorno con mise diverse, segno di rispetto per chi l’ascolta. Quello che non muta mai, è il crocifisso che le orna il petto e di dimensioni tali da non poter essere ignorato. Il punto è che la sua testimonianza di fede collude con il principio sancito dalla Costituzione. Niente da dire sulla sua condizione di cattolica praticante, ma molto da dire sull’esibizione del suo credo. Che indossi pure il crocifisso, ma al disotto di pullover e camicie. Dove trae ragione l’invito a testimonianze più intime del cattolicesimo: mettiamo che prima o poi a un musulmano nato in Italia, divenuto giornalista, sia richiesto di condurre il Tg1: cosa accadrebbe se nel dare il rituale buonasera agli ascoltatori esibisse il simbolo islamico della mezza luna e della stella all’occhiello della giacca? Interrogazioni parlamentari, proteste di piazza, richiesta di epurazione del conduttore, chiusura delle moschee, stop alle relazioni diplomatiche con i Paesi musulmani. C’è poi diversità di approccio al tema per cattolici e atei. La maggior parte degli atei hanno rispetto per i cattolici, la maggior parte dei cattolici non lo hanno per gli atei.

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