Articolo 21. Mister Di Maio, do you remember?

Né i gialli né i verdi che ci s-governano hanno rispetto per la Carta Costituzionale e in particolare per alcuni articoli cardine. Il numero ventuno, per esempio, che recita “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione” e che, senza bisogno di ulteriori specificazioni, include il Parlamento. A negare questo fondamentale diritto sono stati i regimi dittatoriali o semi tirannici: a suo tempo il fascismo, la Russia di Stalin, il nazismo, il vecchio Pci. Oggi i despoti Putin, Trump, Erdogan, governi di Paesi sudamericani e di parte dell’Europa che cavalcano l’onda montante della destra.

E si possono immaginare le conseguenze se non rispettassero l’articolo 21 alcune forze politiche italiana non rispettassero l’articolo 21, uno per tutti il partito democratico, lacerato da dissensi interni, frammentato in “correnti”, dilaniato da divisioni interne, spesso da posizioni antitetiche. Non vi fosse rispetto reciproco e dell’articolo 21, le espulsioni di dem dissidenti avrebbero dimezzato i quadri del partito.

In casa 5Stelle chi manifesta opinioni contrarie a scelte prese dai vertici è considerato un traditore, un nemico interno, un sabotatore e subisce il provvedimento di espulsione. Tralasciando casi eclatanti (Pizzarotti a Parma) parliamo di De Falco, De Bonis, Moi, Valli. A decidere, così informa il blog, sono stati i cosiddetti probiviri e la motivazione parla di comportamenti contrari allo statuto e al codice etico. La reazione dei ripudiati: “E’ mancanza di cultura democratica, è una decisione contro la Costituzione”. La replica di Di Maio, l’incompiuto figlio di papà, è peggiore del provvedimento: “Nessuno è indispensabile”. Non fosse una risposta peggiore del provvedimento si direbbe che il vice premier pentastellato ha arricchito malamente quella risposta con il selfie “Nessuno è indispensabile”. Proprio vero, nessuno è indispensabile, a partire da lui stesso. La colpa degli espulsi? Il disaccordo sul decreto sicurezza, con voto contrario o astensione, cioè con opinioni altre, ovvero pensiero libero e indipendente dai vertici. In sospeso ci sono ancora i casi di Elena Fattori e Paola Nunes, che definisce l’espulsione una sconfitta: “Espellere per dissenso è un atto di debolezza, se poi quel dissenso si è espresso in difesa di principi e procedure non contrattabili, la faccenda è ancora più sconcertante”. Luigi Gallo, presidente della commissione cultura della Camera, assente al voto finale sulla manovra di bilancio commenta: “Sbagliate le espulsioni, richiami e procedure. Il Parlamento deve essere un luogo alto di confronto”. Il categorico Di Maio risponde e fa peggio: “I nostri parlamentari sono tenuti sempre a votare la fiducia ad un Governo in cui il Movimento è parte della maggioranza”. E in quale soffitta a confinato la libertà costituzionale di pensiero? Di ben altro parere è Fico, presidente della Camera. In riferimento alle sonore proteste del Pd contro la manovra di bilancio, censurate dai 5Stelle, ha ricordato, anche se indirettamente, l’articolo 21 della Costituzione che sancisce il diritto di tutti di manifestare il proprio pensiero, senza alcuna limitazione.

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