Poveri grullini, fregati di nuovo dal marpione Salvini

Se per un chiaro dispetto del destino il governo gialloverde dovesse resistere a se stesso per i prossimi cinque anni, evento che terrorizza la democrazia italiana, l’accordo Lega-5Stelle sui tempi di prescrizione dei reati, firmato in quattro e quattr’otto, diventerebbe operativo nel 2024, a rimorchio della riforma del codice penale, ammesso che si riesca a fare. Se ne sono accorti, a cose fatte, i grullini. Salvini, è l’amara riflessione, ci ha fregato di nuovo. Gli abbiamo approvato con urgenza il decreto sicurezza, condiviso tappandoci il naso e gli concediamo che la nostra battaglia per lo stop alla prescrizione dei reati dopo il primo appello, slitti, come sostiene Davigo, massimo esperto di settore, alle calende greche, con il rischio che non si attui proprio più. Il popolo pentasetllato mugugna, il Movimento perde pezzi e Di Maio deve vedersela con un paio di grane niente male. Una investe con fragore mediatico proprio lui che ha ancora la residenza nel palazzotto del padre a Pomigliano, in stato di accusa per abusi su 150 metri quadrati, sanati con il condono. Anche Maria Busiello, consigliera dei 5Stelle, pomiglianese fedelissima del vice premier, è nella bufera per una casa colonica trasformata in villa, con richiesta di sanatoria. Quasi un’epidemia.

Ma poi: la probabile condanna di Virginia Raggi, inverosimile sindaca di Roma, coccolata e difesa ad oltranza dal Movimento (con Di Maio tra i più convinti sostenitori), apre un vulnus niente male nel presuntuoso schermo difensivo dei grullini paladini dell’onestà. Il vice premier scarica la Raggi prima della sentenza imminente che la vede imputata: “In caso di condanna deve dimettersi”.

“Lei è un bianco razzista?” In corso di conferenza stampa, la giornalista della CNN, il più importante e autorevole network televisivo americano si rivolge al nevrastenico Trump. E come si permette? Il tycoon, è noto, non tollera che la stampa amica (rara negli Usa) e censura, minaccia, chi lo critica nell’esercizio del diritto di parola, in regime di libertà di stampa. Il tracotante presidente punta l’indice su April Ryan, colpevole della domanda scomoda e sempre più paonazzo in volto per la rabbia le intima “Siediti, la razzista sei tu”. Poi l’epurazione, fa sottrarre il pass di inviato CNN per la Casa Bianca a Jim Coste. Trump non è ancora il clone di Erdogan che di giornalisti ne ha incarcerati a decine, ma è prossimo a diventarlo.

“Me ne frego”, “Tiriamo dritto” è il linguaggio corrente dei Salvini e Di Maio, mentre il povero Tria, come un ubriaco, sbanda come chi, alticcio, avanza in un negozio pieno di oggetti di cristallo. La Ue conferma il guaio della crescita all’1,2% dell’Italia e il disastro del deficit al 2,9%. Di più, mette in guardia dal rischio contagio in ambito europeo. Il povero ministro dell’economia risponde che la stima pecca di attenzione ed è parziale. Il tentativo di salvare la faccia è patetico, ma è quanto passa il governo gialloverde. Tria non risponde proprio all’allarme per la previsione di qualcosa come 2,6miliardi di tasse in più per le imprese nel 2019, come conseguenza della differenza negativa tra sgravi aboliti, molto maggiori delle agevolazioni introdotte.

La classifica europea del prodotto interno lordo racconta che sul fondo, in maglia nera, c’è l’Italia con l’1,2, alla pari con la Gran Bretagna. Meglio di loro ci sono ventisei Paesi: in testa è Malta, con il 4,9%.

Doppio flash. Renzi etichetta Salvini come il camaleonte della politica

Italiana: “E’ l’unico condannato per oltraggio a pubblico ufficiale. Indossa indumenti di carabinieri, polizia e altre forze dell’ordine ed stato condannato per lancio di uova a un carabiniere”.

Rocco Casalino ha provato a procurarsi un alibi per giustificare l’ignominia degli insulti a ragazzi con handicap e anziani. “Era una provocazione frutto del mio impegno di attore”. Il teatro lo smentisce ed è una precisazione supplementare, utile capire di che panni veste chi mette in bocca discorsi e dichiarazioni al premier Conte per volontà di Di Maio.

Casalino deve aver suggerito al premier di vantarsi per il “primo successo della diplomazia italiana e cioè la presenza al summit sulla Libia dei principali attori. Peccato che la Merkel e Macron, due “pezzi da novanta”, abbiano gentilmente declinato l’invito.

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