‘NDRINE IN EMILIA / LA CAMORRA C’ERA GIA’ 25 ANNI FA

Maxi processo a Bologna sulle connection delle ‘ndrine calabresi. Nella rete, oltre ai malavitosi, imprenditori, colletti bianchi, politici, giornalisti, e anche l’ex calciatore della Juve e della Nazionale Vincenzo Iaquinta (condannato in primo grado a due anni) e il padre Giuseppe (19 anni).

Una rete super ramificata, capace di tessere rapporti in tutti i settori economici, e un’incihiesta “Aemilia” partita tre anni fa e condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna.

E’ l’ennesima prova che la ‘ndrangheta ormai ha preso piede – e da nnni – in tutte le regioni del centro nord, in modo capillare, dalla Val D’Aosta (casinò nel mirino) alla Lombardia, alla Liguria, per non parlare poi dell’estero, dove le procure fra l’altro non sono a conoscenza delle modalità di penetrazione di ‘ndrine e clan, non sono al corrente delle prassi del ‘lavaggio’ dei soldi sporchi e dove non vige lo straccio di una legislazione antimafia.

Quindi campo aperto per riciclaggi di ogni tipo e in ogni settore, soprattutto quello commerciale (alberghi, ristoranti, catene di magazzini) ed edilizio, attraverso l’acquisto di immobili a go go.

Le prime penetrazioni malavitose in Emilia, comunque, risalgono addirittura alla fine degli anni ’80, inizio ’90, quando fu la camorra ad aprire la strada ai riciclaggi. La punta di diamante, allora, fu il settore dei servizi, soprattutto quelli di pulizia. La Voce, nel 1991, titolò una sua inchiesta “cRimini cRimini”, per il fatto che da Rimini giunsero le prime notizie. Alla nostra redazione, infatti, arrivò una telefonata dall’Ente Fiera che non si sa come – allora internet con esisteva – aveva letto sulla Voce notizie di alcune società ruotanti nell’orbita del potente clan Nuvoletta di Marano, nell’area nord di Napoli. Avevano preso parte alla gara d’appalto per le pulizie alla Fiera di Rimini e ci veniva chiesto un aiuto, dai dirigenti della stessa Fiera, per capire di che società si trattasse.

L’arresto del boss Francesco Bidognetti. In apertura il maxi processo di Bologna

Lo stesso successe, mesi dopo, a Torino, dove ci contattarono dal locale Istituto Autonomo Case Popolari perchè una società vesuviana aveva preso parte ad una gara d’appalto per la realizzazione di appartamenti. Avevano letto sulla Voce un articolo che rigurdava sigle nell’orbita del clan Galasso di Poggiomarino, in forte crescita allora, e volevano saper qualcosa su una certa società.

Cambia le regione ma non muta lo scenario. Ci chiamano da Lucca per saperne qualcosa dei fratelli Sorrentino di Torre del Greco, che a inizio anni ’90 lì stabiliscono il loro quartier generale con alcune società edili, dopo sequestri e confische decisi dalla procura di Napoli.

Quindi è la volta di Montecatini, dove il celebre Kursaal, dopo il tentativo di accaparrarselo da parte di un gruppo d’imprenditori vicino a Licio Gelli, entra nel mirino dello stesso clan Galasso.

E’ un fuoco di fila, da un regione all’altra. E siamo – lo ribadiamo – all’inizio degli anni ’90: un quarto di secolo fa.

Poi anni fa si sveglia Roberto Saviano per far scattare l’allarme e suonare le trombe.

Così come per il grande business della monnezza. Stesso copione: il bubbone comincia a crescere a fine anni ’80: risalgono a quell’epoca i reportage della Voce che documentano, ad esempio, le connection tra le sigle legate ai Casalesi e in particolare riconducibili a Francesco Bidognetti, alias Cicciotto ‘e mezzanotte, e gli amici di Gelli. Tanto che dettagliammo alcuni summit svoltisi a Villa Wanda, ad Arezzo, nella magione del Venerable ai quali prese parte lo stesso Bignognetti.

Fu poi la volta, sempre a fine anni ’80, delle imprese di Cipriano Chianese, il colletto bianco dei Casalesi, dal quale venimmo anche cititati in giudizio. Solo dopo anni la magistratura lo scoprirà come grande trafficante di rifiuti e ne confischerà le proprietà sparse in mezzo Sud e a Roma.

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