UCCISO DALLO STATO – BORSELLINO QUATER / IL PIU’ GRAVE DEPISTAGGIO: SOLO ESECUTORI, MA SENZA MANDANTI

“E’ uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”. Ci hanno messo la bellezza di 14 mesi per depositare le motivazioni della sentenza per il Borsellino quater i giudici del tribunale di Caltanissetta. 

Peccato che, dopo tale immensa mole di lavoro e caterve di testi sentiti, dal buco fino ad oggi siano usciti solo dei topolini. Ossia uomini (anche capi) dell’allora Polizia di Stato che hanno taroccato il super pentito Vincenzo Scarantino, dalle cui verbalizzazioni sono scaturite le condanne farlocche servite a sbattere in galera per 16 anni 7 innocenti che con la strage di via D’Amelio non c’entravano un bel niente. Nessuna traccia di altre presenze che abbiano depistato, di calibro ben maggiore. Come mai? Perchè siamo ai soliti muri di gomma?

C’è voluto un altro pentito, Gaspare Spatuzza, per smontare pezzo pezzo il castello di menzogne. E c’è voluta anche la verbalizzazione clou dello stesso Scarantino, che alla fine del tragico valzer processuale, ha vuotato il sacco e rivelato tutta la combine: doveva essere lui il mostro da sbattere in prima pagina. Lui che non c’entrava niente, era un bulletto di periferia, però adatto a ‘recitare’ la parte del killer.

QUEI POLIZIOTTI INFEDELI

Quali i suoi maestri? La sentenza di Caltanissetta lo ribadisce: fu il pool di poliziotti guidati dal super capo di allora, Arnaldo La Barbera, morto più di una decina d’anni fa: il quale, quindi, non può dire la sua e tantomeno raccontare la sua verità di quei tragici fatti e, soprattutto, di quello sconvolgente “Depistaggio di Stato”. Insieme a lui un manipolo di investigatori e poliziotti, uniti nel comune intento di dare una faccia al colpevole, chiunque fosse. 

Una maxi sentenza, quella di Caltanissetta, quasi 2000 pagine, nel corso delle quali viene descritto nella sua genesi e nel suo sviluppo tutto il “disegno criminoso”, con un movente da ricercare nel quadro di “una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere” che vedevano come un incombente pericolo l’attività di Paolo Borsellino anche dopo la strage di Capaci. 

La monumentale sentenza dei giudici nisseni trova il tempo di occuparsi anche della misteriosa agenda rossa, una delle chiavi dei misteri. “La Barbera – secondo le toghe – ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre”.

Ancor più coraggiosa Fiammetta Borsellino, che ha più volte denunciato errori, orrori & omissioni degli inquirenti, attirandosi anche l’ira di non poche toghe eccellenti. Commenta oggi Fiammetta: “Nessuno ormai si fa più vivo con noi. Non ci frequenta più nessuno. Nè un magistrato né un poliziotto. Si sono dileguati tutti. Nessuno di quelli che si professavano amici ha ritenuto di darci delle spiegazioni anche sotto il profilo morale”. Parole che pesano come pietre. 

Fiammetta Borsellino

Peccato che la colossale sentenza dei pubblici ministeri di Caltanissetta, i pm Stefano Luciani e Gabriele Paci, pur scandagliando tra mille pieghe e rivoli fino ad ogni ignoti, non riesca a far un pò di luce su due elementi base, in tutta la montagna probatoria. 

Punto primo: chi ha veramente diretto il Depistaggio di Stato? Punto secondo: quale la vera storia dell’Agenda rossa, la chiave di tanti, troppi segreti?

IL TAROCCAMENTO DI SCARANTINO

Procediamo con ordine, ricordando che la Voce ha scritto molto su questi temi a cominciare dalla sequela di inchieste firmate da un grande del giornalismo investigativo come Sandro Provvisionato, che ha scandagliato fino in fondo la “Scarantino story”, anche attraverso il suo indimenticabile sito “Misteri d’Italia”.

Sorge subito spontanea la domanda, che con ogni probabilità è transitata anche negli orizzonti mentali e giudiziari dei pm. Le indagini alla polizia giudiziaria chi le ha mai ordinate? Per essere più chiari: sono poliziotti e carabinieri che un bel mattino si svegliano e decidono di perquisire qui o là, mettere sotto controllo questa o quella utenza, pedinare tizio oppure caio? Figurarsi poi per la gestione di un pentito, come è stato nel caso di Scarantino! A chi tocca la decisione? Ad un poliziotto, anche super, al magistrato oppure ai magistrati incaricati del caso e titolari del fascicolo processuale?

Ecco, in questi anni, in questi mesi e anche in queste ore che seguono alla ‘pubblicità’ delle motivazioni del tanto atteso Borsellino quater, non fa capolino – almeno per ora – il nome di un solo magistrato. Come se in Italia a istruire e gestire i processi ci fosse una sorta di pilota automatico, un Codice Metafisico capace di tutto intendere e tutto coordinare. 

Le cose non stanno propro così. Perchè nei processi Borsellino ci sono delle toghe che hanno dei nomi e cognomi ben precisi e che prima o poi dovranno raccontare la loro versione dei fatti. 

Ilda Boccassini

Partiamo, prima di ogni cosa, da una comunicazione ufficiale diramata a tutte le procure siciliane, e non solo, da un magistrato del calibro di Ilda Boccassini: la quale, appena entrato in campo il nome del pentito Scarantino, prese carta e penna e, indignata, scrisse della “totale inattendibilità di quel pentito”. Una che di mafie e pentiti se ne intende, Boccassini. 

Perchè nessuno si è preso mai la briga di risponderle? Perchè quel suo parere è stato buttato nel cestino delle scartoffie? Un mistero che dovrà essere chiarito: vuoi a Caltanissetta, al ministero della Giustizia oppure davanti al Csm: un Csm che prima o poi farà bene a svegliarsi dal letargo.

Proseguiamo con l’iter dei processi Borsellino. A condurre le indagini, quindi titolare del fascicolo, è stata Anna Maria Palma, toga siciliana di prestigio, considerata nei primi anni “una toga rossa”. Partecipò all’ultima cena organizzata a casa Borsellino, poche settimane prima della strage di via D’Amelio, in compagnia, tra gli altri, dell’allora procuratore capo Piero Giammanco. Tutti amici, a quella tavola?

ALL’OMBRA DELLA PALMA

Alcuni mesi dopo Anna Maria Palma venne affiancata da un giovane pm, Nino Di Matteo. Le due carriere, negli anni seguenti, imboccheranno vie diverse: folgorata sulla via di Silvio Berlusconi la Palma, che diventa capo di gabinetto ai tempi del Senato retto da Renato Schifani; mentre il rampante Di Matteo scalerà tutti i gradini che portano a diventare una autentica Icona Antimafia. 

Il taroccamento di Scaratino è stato davvero scientifico, ha ricostruito per filo e per segno Provvisionato: uno spartito imparato a memoria, domande e risposte studiate a tavolino, insomma un perfetto scolaretto da mandare in aula per rispondere a tono: e se caso mai s’inceppava c’era chi in bagno correva in aiuto a ricordargli le battute. Incredibile ma vero.

Sorge di nuovo spontanea la domada: può mai prendere un’iniziativa di tale portata un pur solerte poliziotto senza quanto meno avvisare e/o concordare con i diretti superiori gerarchici, ossia i magistrati? Insomma, un ‘Depistaggio’ di tale colossale portata può scaturire da una sola ‘mente’? 

Giuseppe Ayala

Pare incredibile. Come è altrettanto incredibile non se lo chiedano i magistrati che in quasi 2000 pagine hanno sviscerato il caso fino alle budella. Ma confessiamo: tutte quelle pagine non le abbiamo ancora lette, solo i resoconti d’agenzia…

Passiamo all’Agenda rossa. 

Se ne sono dette e scritte di tutti i colori. Sono stati celebrati i soliti processi farsa, è stato messo sotto inchiesta il colonnello dei carabinieri Giovanni Arcangioli, filmato da una telecamera con l’Agenda rossa tra le mani. Agenda che poi sarebbe stata smistata ad un giudice che ha storicamente vantato la sua amicizia con Borsellino, ossia Giuseppe Ayala. 

Il processo, al solito, si è risolto in un flop. Quell’agenda rimane un buco che più nero non si può.

Esattamente un anno fa, ai primi di luglio 2017, però, si è aperto uno squarcio: intervenuta a Napoli per presentare il suo fresco di stampa “I Boss di Stato – I protagonisti, gli intrecci e gli interessi dietro la Trattativa Stato-Mafia”, la giornalista e scrittrice Roberta Ruscica ha parlato anche della strage di via D’Amelio e del lungo periodo in cui ha seguito l’inchiesta condotta da Anna Maria Palma, che aveva cominciato anche a frequentare. 

Ha dichiarato Ruscica davanti a un nutrito uditorio: “Ho creduto con forza in quella inchiesta, e anche in quella pista che portava a Scarantino e alle sue rivelazioni. Con il senno di poi, oggi, ammetto di aver sbagliato. Ho frequentato il giudice Palma per alcuni mesi, e un giorno mi raccontò dell’agenda rossa di Borsellino. Mi disse che ne era entrata in possesso, l’aveva avuta nella sua disponibilità. Non mi disse per quanto né che fine abbia poi fatto l’agenda”. 

Perchè nessun pm impegnato a continuare nelle indagini sulla strage di via D’Amelio non fa un piccolo approfondimento su queste due piste: chi ha davvero inventato il pentito Scarantino e quali tortuosi percorsi ha subìto l’Agenda rossa?    

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