Dal manicomio al set. Olmi e suoi attori presunti “matti”

Era il tempo a ridosso del 1980 e l’Italia si confrontava sulla storica decisione della chiusura dei manicomi, voluta da Franco Basaglia e condivisa dal governo con una legge di grande civiltà che aboliva la tragedia di lager della disumanità dove si praticavano sui degenti trattamenti ignobili: il famigerato elettrochoc, terapie farmaceutiche debilitanti, letti di contenzione, violenze fisiche e mentali.

Coraggiose indagini, su questo mondo governato da baroni della psichiatria, accertarono che in molte strutture le somme riconosciute per i ricoverati erano utilizzate in misura minima per la loro assistenza e in forte percentuale finivano in altre tasche.

Nel corso di un’inchiesta televisiva, una tappa d’obbligo fu l’ospedale psichiatrico di Volterra. Lì un vecchio ricoverato da cinquant’anni raccontò di essere stato rinchiuso in vari manicomi, con il consenso dei familiari, per essere affetto da epilessia.

All’esterno del manicomio un gruppo di attori in costume d’epoca si avviava sul set del film “Cammina, cammina”, per la regia di Ermanno Olmi. Gli chiedemmo del cast e lui con l’abituale sorriso e straordinaria umanità ci rivelò che si trattava di ricoverati dell’ospedale psichiatrico, ingaggiati nella consapevolezza di offrire loro un’occasione unica per dimostrare di essere uomini e donne pronti a inserirsi nel contesto sociale e della famiglia. La scelta di Olmi non ebbe riscontri in altri luoghi d’Italia e anzi le voci contrarie alla legge Basaglia si moltiplicarono, a difesa di interessi sottratti all’illegalità, ma anche perché il territorio del Paese, con rare eccezioni, mostrò di non essere pronto ad accogliere persone con problemi mentali.

Proseguendo nel viaggio con l’intento di verificare il dopo Basaglia ci fu dato di scoprire condizioni scandalose dei manicomi: pazienti scalzi, seminudi, in terra escrementi e urina, letti di contenzione. Alcuni degenti facevano dondolare continuamente la testa, a destra e a sinistra. Poteva sembrare un sintomo della follia, ma Sergio Piro, noto psichiatra napoletano, della scuola di Basaglia, spiegò che quel movimento era l’unico possibile per chi, appunto era stato costretto all’immobilità dalla camicia di forza e poteva solo muovere la testa. Altri “matti” continuavano a ripetere un breve percorso circolare, di un metro o poco più, perché era l’unico spazio per muoversi nella camerate affollate di “malati”. Nell’angolo di un ospedale del sud ci colpì la figura di una giovane donna. Sembrava non percepire nulla interno a sé. Un infermiere ci spiegò che era una ragazza madre, costretta ad abortire e spedita in manicomio grazie alla complicità di un medico, amico dei familiari, che aveva firmato una diagnosi di squilibrio, poi affidata ed un maresciallo dei carabinieri che l’aveva utilizzata per il ricovero in manicomio.

Di qui l’omaggio purtroppo virtuale per maestro del cinema. Ermanno Olmi è scomparso all’età di 86 anni. Come gli specialisti di psichiatria democratica, di cui Basaglia è stato fondatore e animatore, il regista dal volto umano e doti di ineguagliabile umanità, ha dimostrato che molti casi di disturbi mentali possono essere sottratti alla vecchia e illegalmente remunerativa prassi degli psicofarmaci, della camicia di forza, della “carcerazione” in lager indegni di società evolute, qual è l’Italia.

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