Proposta: gite “dentro” porta

La primavera, com’è noto, porta con sé il rito delle gite scolastiche, favorito dall’esordio del tempo mite e nella dimensione internazionale anche dal premio che i dirigenti riservano ai docenti, in visita gratuita a luoghi ambiti. E allora si rinnovano le scene delle partenze di buon mattino. Nel punto di ritrovo concordato i pullman turistici spalancano le porte a scolari, alunni e studenti di ogni età, accompagnati da mamme e padri prodigi di raccomandazioni perché i pargoli si comportino bene. Lo spettacolo è identico nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti. “Il ciao, mi raccomando telefona ogni giorno, non fare sciocchezze” è un ansioso auspicio e molti dubbi sulla capacità di convincimento che l’appello sarà rispettato.

Nell’augurio di “buon viaggio e divertitevi” c’è un’ombra di forte preoccupazione. Originata da cosa? Dalla memoria di tragedie purtroppo non rare. La cronaca, in più circostanze, ha dovuto occuparsi di giovani vite in gita, vittime di incidenti. Pullman finiti furi strada, incendiati, distrutti in seguito a scontri frontali. Certo sono casi estremi e però hanno aperto un fronte di aspre polemiche sulle responsabilità di chi gestisce il servizio: mezzi privi di attenta manutenzione, autisti sottoposti a turni di guida stressanti, senza adeguato riposo. I timori non finiscono qui e la domanda che inquieta i genitori dei gitanti nasce dalla consapevolezza che gli accompagnatori spesso non sono in   grado di tenere sotto controllo gli studenti, specialmente nelle ore notturne, quando può succedere di tutto. Di episodi limite è viva la memoria. Eccessi di bevande alcoliche, peggio se aggravati dall’assunzione di droghe, a monte di vere tragedie: ragazzi morti dopo voli inspiegabili da finestre e balconi degli alberghi dove alloggiavano, ricoveri in ospedale per etilismo.

In molti, ma senza esito, mettono in discussione la tradizione delle gite scolastiche, quanto meno quelle in località distanti dal luogo di provenienza. La ragione dell’ostilità si sostanzia con la preoccupazione di brutti imprevisti, ma trova argomenti supplementari, specialmente per le città d’arte, nella scarsa conoscenza di quanto offrono, in gran parte sconosciuto o visitato sommariamente.

Nei Paesi europei culturalmente più evoluti, le scuole promuovono molteplici iniziative per attivare la conoscenza del patrimonio storico, architettonico, musicale. All’estero non è raro osservare piccoli visitatori che copiano sui loro album quadri e disegni famosi, alunni, impegnati a scuola nello studio di strumenti musicali, che assistono a concerti di musica classica.

L’Italia detiene il prestigioso primato di siti patrimonio dell’umanità, ma quanti sono i suoi abitanti che conoscono almeno tutti quelli della propria città? Quanti napoletani frequentano il Museo di Capodimonte con l’assiduità richiesta dal susseguirsi di grandi mostre, quanti partecipano ai concerti del Conservatorio o conoscono i luoghi dove si suona il jazz, i locali che ospitano il teatro sperimentale, i musei specialistici dell’Università?

Prima di promuovere gite molto fuori porta, i dirigenti scolastici non dovrebbero essere promotori di una campagna per l’esplorazione globale del territorio in cui ha sede l’istituto da governare? Ecco un’altra utopia.

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