La “S” di sinistra e un fiore di loto

Benché mossi da analisi non coincidenti su cause e responsabilità del previsto disastro elettorale della sinistra, con una cara amica abbiamo condiviso in regime epistolare il rabbioso sconforto per quanto accaduto. Di seguito pensieri del day after.

Cara R…, non porto il lutto al braccio perché non credo nelle manifestazioni esteriori di dolore, in questo caso di rabbia. La nausea per quanto accade al nostro Paese è montata in me da tempo. Ora esplode con il rifiuto di vedere e ascoltare questi mascalzoni, mestieranti della politica che si pavoneggiano o mostrano pentimento con palese ipocrisia.

In queste ore mi preoccupa il futuro delle nuove generazioni. Penso ai miei nipoti, a tutti i bambini e i ragazzi che subiscono lo tsunami del qualunquismo, della destra, anche di quella estrema, camuffata o no. Temo che anticipi tempi ancora più bui. Mi è tornato in mente un episodio degli anni settanta quando guidavo la redazione di Paese Sera. Un compagno, dalle Botteghe Oscure, chiamò il giornale per metterci in guardia. C’era nell’aria un colpo di Stato e pericolo per i comunisti più esposti pubblicamente.

Staremo a vedere, ma da possibili, perverse alleanze (5Stelle-Lega-Fratelli d’Italia, quindi Casa Pound e Forza Nuova) possiamo aspettarci di tutto, a cominciare dalla repressione della libertà di pensiero e di stampa (vedi Erdogan). Ti dice niente la festosa accoglienza del risultato elettorale, apertamente manifestata da Putin? Cosa di diverso ci si può aspettare dal truce Trump?  Cosa dalla destra dei Paesi UE a guida neofascista che abbiamo accolto nella comunità con improvvida superficialità? Assisteremo all’occupazione di banche, enti, media? Immagina: la “scurrile” Taverna alla presidenza della Rai, Di Stefano, vice leader di Casa Pound, direttore del Tg3, La Russa ministro delle pari opportunità e soprattutto Di Maio premier, sindaci e presidenti di comuni e regioni come il razzista Fontana, eletto in Lombardia. Torneremo all’autarchia di regime, al divieto di pronunciare parole di lingue universali come l’inglese, alle fedi donate alla patria per sostenere l’economia nazionale? Salvini si affaccerà al balcone si palazzo Venezia per dichiarare guerra a uomini e donne di colore, ordineremo alle motovedette di affondare gommoni e barcacce con immigrati a cannonate, ri-colonizzeremo Eritrea e Somalia, le nostre nazionali di calcio, basket e sport vari saluteranno con il braccio levato?

Sì, sono forse ipotesi catastrofiste, ma nel pieno della catastrofe ci ha catapultato l’ultimo passo, oltre il limite estremo del viale del tramonto, imboccato dalla sinistra con lucido cinismo.

Il disastro del 5 Marzo ha prodromi lontani. Per non andare oltre, alla deformazione dell’impianto ideologico precedente la svolta Berlinguer-Aldo Moro, delle convergenze parallele, delle formule ibride, sfociate nella larga intesa comunismo-resti del socialismo-scorie riciclate della defunta Dc. L’imbastardimento ha partorito progressive distanze dal rapporto quotidiano con la gente, dalla solidarietà operante con il mondo del lavoro, dalla politica come luogo d’eccellenza dell’idea di servizio per la comunità. Una quercia ha estromesso il simbolo di falce e martello, l’Ulivo ha sradicato la quercia e lo ha soppiantato, nel logo del Pd sono residuate due foglioline di ulivo. Il 5 marzo è andato oltre e per il prossimo simbolo dei resti a brandelli dei democratici si suggerisce una foto o il disegno di un fiore di loto che wikipedia definisce così: “…secondo la tradizione asiatica, esprime significati profondi ed allo stesso tempo potentissimi, come la crescita spirituale, la resurrezione, la consapevolezza della propria natura e della propria forza e la capacità di non farsi contaminare dalle ‘lordure’ di questo mondo”.

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