TANGENTI / ALGERIA BOLLENTE PER GLI EX VERTICI ENI     

Pioggia di condanne per i vertici Eni, sotto inchiesta da un paio d’anni per una brutta storia di corruzione internazionale e di mazzette in Algeria. A chiedere le pesanti sanzioni sono i pm della procura di Milano, impegnati in una minuziosa inchiesta per ricostruire in modo dettagliato il filo dei soldi, circa 200 milioni di euro, sborsati dalle casse di Saipem, la controllata sul fronte degli impianti petroliferi, a una serie di funzionari governativi e faccendieri algerini.

Sei anni e mezzo sono stati richiesti per l’ex numero uno Paolo Scaroni, esordi della carriera alla Techint della famiglia Rocca, poi big del parastato e oggi responsabile di Elliot in Europa, il maxi fondo Usa impegnato nell’affare Milan per il rifinanziamento del debito cinese.

Per l’ex responsabile Eni in Nord Africa, Antonio Vella, chiesti 5 anni e 4 mesi; per l’ex direttore finanziario prima di Saipem e poi di Eni Alessandro Bernini 6 anni; per l’ex presidente e amministratore delegato di Saipem Pietro Tali 6 anni e 4 mesi; 7 anni e 4 mesi per Pietro Varone, l’ex direttore operativo di Saipem che, comunque, con le sue rivelazioni ha contribuito a chiarire non pochi aspetti di storia & commesse delle concessioni per lo sfruttamento dei pozzi petroliferi in Algeria. L’ex numero uno di Saipem in Algeria, Tullio Orsi, ha invece preferito patteggiare una pena pari a 2 anni e 10 mesi.

La pena più alta, 8 anni tondi, è stata poi chiesta per il faccendiere algerino Noureddine Bedijaoui, che ha agito per conto dell’ex ministro per l’energia Chakib Khelil.

Ecco cosa sostengono i pm milanesi Isidoro Palma, Fabio De Pasquale e Giordano Baggio. A proposito del comportamento di Scaroni: ha “usato la controllata Saipem per fare veicolare le tangenti, per il comodo di Eni, mascherandole come provvigioni”.

Ancora: “il modello organizzativo di Eni ha dato la possibilità a Scaroni di gestire in autonomia i rapporti con Farid Noureddine Bedijaoui”.

Condanne piuttosto pesanti anche perchè gli imputati non hanno collaborato: “l’atteggiamento è stato negare i fatti, e c’è chi ha preferito il silenzio tombale”.

Leggerissima, invece, la multa prevista a carico di Eni, appena 900 mila euro, il costo di un’abitazione di medio valore per una vicenda di tale gravità. Il cane e a sei zampe, comunque, si è proclamato innocente e ha respinto ogni addebito. Non ne sanno nulla di quei soldi, di quelle tangenti e neanche dei regali diretti non solo a politici e faccendieri, ma anche ai vertici di Sonatrach, la società statale che in Algeria gestisce gli affari energetici e petroliferi.

Una vicenda su cui la Voce ha scritto svariate volte. Come anche sulle tangenti in Nigeria e in Brasile, che vedono di volta in volta sempre protagoniste Eni e Saipem, e sempre per pesantissime accuse di corruzione internazionale, regolarmente finite sotto i riflettori della procura di Milano.

La mega mazzetta verdeoro, su cui in Brasile s’è aperta l’inchiesta Lava Jato che ha non solo mandato in crisi la nomenklatura carioca, ma anche portato all’impeachment della presidente Dilma Roussef, vede sul banco degli imputati quella stessa Techint di cui Scaroni è stato, con i fratelli Rocca, tra i fondatori e animatori.

 

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