Il Vaticano abbandona la famiglia cristiana

Una storica “Famiglia” si disgrega e aggiunge rammarico per la prematura fine di altre testate storiche. Il caso specifico di questi giorni tocca il nervo scoperto di un “foglio” che per decenni ha detenuto il primato della diffusione nel nostro Paese, favorito dalla distribuzione capillare in prossimità delle 66.308 chiese italiane e di chissà quante nel mondo, dove vivono milioni di nostri connazionali cattolici. Per farsi un’idea vicina alla realtà: il patrimonio immobiliare della Chiesa nel mondo è di duemila miliardi in edifici, fabbricati, terreni, ospedali, università e scuole. Un milione e duecentomila sono i suoi dipendenti. Dietro questo impero, oltre al Vaticano, c’è l’ombrello di un’immensa proprietà. E sono congregazioni, vari ordini religiosi, confraternite, decine di migliaia di enti morali, fondazioni e società. In parte, questo impero non ha fini di lucro, ma in buona misura produce profitto, che includono gli introiti di alberghi, case di riposo, ospedali, abitazioni. In Italia si calcola che il 20% del patrimonio immobiliare è della Chiesa (un quarto nella città di Roma). Le ricchezze si rimpinguano con circa diecimila lasciti testamentari all’anno e solo gli appartamenti gestiti dalla Fides hanno un valore di nove miliardi di euro. Tirate le somme, l’Agenzia del territorio e dal dipartimento delle Finanze stima, con prudenza, che il valore di quanto c’è nelle mani della Chiesa, nel nostro Paese si aggira attorno a mille miliardi.

Questo lungo prologo anticipa la notizia sulla crisi profonda del settimanale clericale “Famiglia Cristiana”, diretta emanazione del Vaticano. Gravato da passivi di bilancio, cali delle vendite e zero innovazione editoriale, deve affrontare l’inedito di scioperi dei dipendenti e il digiuno di protesta dei trentatré giornalisti. Sono a rischio gli stipendi e per evitare il licenziamento, cassa integrazione per gli impiegati, dipendenti mandati via. E’ invitabile la domanda: dove finisce tutto il “ben di dio” che entra nelle capaci casse del Vaticano, che risana la sua storica testata?

Altro è la crisi di giornali di partito, primo fra tutti l’Unità (ma anche l’Avanti e qualche quotidiano pro Forza Italia, che subiscono il declino dei partiti, costretti a chiudere sezioni e sedi di prestigio.

La vicenda di “Famiglia Cristiana” evoca il doloroso rimpianto per la scomparsa dallo scenario dei media del glorioso, inimitabile “Paese Sera”. Chi ha vissuto in prima persona gli anni del suo straordinario successo ha sofferto la miopia del partito comunista, che se ne liberò come conseguenza di cattiva gestione amministrativa e nell’illusione di contare a occhi chiusi sull’ “amicizia” politica della nascente la Repubblica. In tanti anni di giornalismo non ho mai più vissuto l’entusiasmante avventura di un quotidiano che in Campania fu interprete di quanto non aveva voce nella stampa locale. Anche per Paese Sera si poteva e si doveva affrontare la crisi, con un coraggioso, innovativo progetto e risorse a quel tempo disponibili.

I 33 giornalisti del gruppo hanno annunciato una giornata di digiuno e di sciopero per salvare il salvabile. «Purtroppo l’autorevolezza e la qualità delle nostre riviste sono sempre più minacciate da una politica aziendale miope e di corto respiro che considera tutti i lavoratori, giornalisti e impiegati, soltanto una riga di costo del bilancio mortificandone la dignità professionale». Parole durissime che arrivano dopo un lungo braccio di ferro con padre Rosario Uccellatore, il responsabile del settore dell’ordine dei Paolini. «Con questo digiuno – spiegano i giornalisti della Periodici San Paolo – vogliamo esprimere tutta la nostra preoccupazione per il futuro delle testate e dei nostri posti di lavoro e per denunciare l’accentramento di tutti i poteri e le funzioni nelle mani di una sola persona». Secondo i giornalisti i Paolini non hanno alcuna idea seria e credibile di futuro. «Di questo passo, fra qualche mese, anche percepire lo stipendio diventerà agli occhi dei vertici aziendali un odioso privilegio da estirpare in nome della crisi». Stipendi decurtati per evitare il licenziamento, per gli impiegati cassa integrazione fino anche al 100 per cento, con casi «di persone messe letteralmente alla porta». Ora il digiuno simbolico che arriva a ridosso di Natale. Una data simbolica per l’avventura editoriale dei Paolini (oltre a Famiglia Cristiana, Jesus, il Giornalino, Credere) visto che proprio nel giorno di Natale, nel 1931, usciva il primo numero di Famiglia Cristiana che, col tempo, diventerà il più diffuso settimanale cattolico italiano.

Un commento su “Il Vaticano abbandona la famiglia cristiana”

  1. Laura ha detto:

    vi leggo volentieri nelle vostre inchieste, perciò articoli così superficiali e qualunquisti non vi fanno onore (e mettono in dubbio la serietà anche degli altri: che siano solo scoop?)
    Parlo dall’interno (sono una suora): non vale mettere in un calderone patrimoniale unico i beni ecclesiastici, identificando tout court Chiesa/Vaticano/enti/congregazioni etc.
    1. Ognuno fiscalmente e economicamente fa per sé. Famiglia cristiana è una rivista di ispirazione cattolica, ma non è del Vaticano, è dei Paolini. E il Vaticano non è che entra a coprire le spalle (se falliscono falliscono loro, chiuso).
    2. Sui beni ecclesiastici: noi paghiamo le tasse su tutto ciò che è fonte di lucro (chi non le paga infrange la legge, come tutti i cittadini, e che sia doppiamente scorretto se a barare è chi ‘predica’ sono d’accordo), sono esenti – non solo per la Chiesa cattolica ma per tutte le altre religioni e Onlus – i beni di utilità sociale – es. oratorio, mense poveri, attività sociali che di fatto suppliscono dove non arriva lo stato…
    3. ok grande patrimonio immobiliare, ma molti beni sono degli oneri: es chiese, beni storici e artistici etc che non si possono vendere e comportano grandi lavori di manutenzione e restauro.
    4. che poi ci sia da discutere sulla povertà/ricchezza della Chiesa, sull’uso dei beni e sulla speculazione sono d’accodo ma questo articolo è veramente a sensazionalismo.

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