I RE DEI FONDI CAPUTI & BUARON / DAI TUFFI DI SATURNIA AI MISTERI FERROVIARI

Sempre più agguerrite nello shopping mega immobiliare e nelle compravendite le due regine dei Fondi, Feidos e Prelios, che ritrovano sui loro podi lo stesso direttore d’orchestra, Massimo Caputi, l’ex gran commis di Stato passato alle ricchezze dei Fondi.

L’ultimo colpo messo a segno da Feidos è l’acquisizione di un tesoro come quello delle Terme di Saturnia, 40 milioni di euro il prezzo. Mentre Prelios ha venduto sei grossi immobili ad un altro protagonista del settore, Idea Fimit, un tempo guidata dallo stesso Caputi e oggi riconducibile alla DEA del gruppo De Agostini (70 per cento) e all’INPS per il restante 30 per cento.

L'organigramma Feidos così come appare sul sito

L’organigramma Feidos così come appare sul sito

Ma vediamo più in dettaglio protagonisti e operazioni in campo. E partiamo dall’ultimo botto, le Terme di Saturnia.

CAPUTI SI TUFFA A SATURNIA

Un complesso storico, quello di Saturnia, comprendente sette ettari di terreno in una splendida valle della Maremma, un resort di lusso a 5 stelle, con 140 stanze e una mezza dozzina di bar e ristoranti, più piscine, impianti sportivi, country club. Oltre 140 tra addetti e impiegati, un bel numero.

Storici proprietari, da 30 e passa anni, i rampolli della dinasty dei ManuliAntonello, Mario e Sandro – che nonostante le ottime performance fatte registrare negli ultimi anni hanno preferito passare il testimone. Ed ecco che la proprietà è finita nelle mani di due fondi, Feidos e l’americano York.

Sergio Scarpellini

Sergio Scarpellini

Si conoscevano già da tempo, Feidos e York, e avevano già messo a segno insieme alcuni colpi: in particolare si sono aggiudicati diversi immobili che fanno capo alla società Milano 90, riconducibile all’immobiliarista romano Sergio Scarpellini, finito nella bufera per la maxi inchiesta sull’entourage di Virginia Raggi in Campdoglio. Un altro fondo a stelle e strisce, Tristan, è intervenuto nell’operazione-Scarpellini.

Molto articolato l’azionariato di Prelios, che presenta un trio d’attacco formato dall’onnipresente Caputi, dall’ex vertice dell’Enel Fulvio Conti e da un altro pezzo da novanta dell’ex parastato e oggi acrobatico finanziere, Daniel Buaron. Non mancano le presenze bancarie, in pole position Intesa San Paolo e Unicredit ma l’ultima ciliegina sulla torta arriva dagli States, attraverso un super fondo, Devidson Kemper, che ha rastrellato una buona fetta azionaria.

E Prelios sta cambiando pelle non solo sotto il profilo societario ma anche sul fronte delle strategie. Sempre fondi, nel mirino, ma anche un’accelerazione verso quel mondo ricco di sorprese dei Non performing loans, quelle montagne di sofferenze (per molti) che possono trasformarsi in ricchezza sonante per chi le sa gestire. Ecco l’acrobatico paragone di un addetto ai lavori: “proprio come la monnezza, che è un macigno insopportabile per chi non sa affrontare il problema, e invece diventa una risorsa più che produttiva per chi ci sa fare”.

A testimoniare la nuova strategia, la recente dismissione da parte di Prelios di un pacchetto di 6 immobili, che facevano capo a ‘Tecla Fondo Uffici‘. Ubicati in svariate parti d’Italia, sono attualmente locati a Telecom Italia spa. Un altro colpo da 40 milioni, messo a segno stavolta da Idea Fimit sgr, la terza stella del settore, come abbiamo visto.

Sembra proprio il gioco delle tre carte, e ad oggetto ci sono patrimoni spesso sconfinati che fanno capo ad enti e istituti previdenziali, come per fare un solo esempio l’Enpam sulla cui ricca dote da gestire sta mettendo gli occhi un altro specialista del settore, Ofer Arbib, cugino di Buaron.

BUARON, DA MANI PULITE AI MEGA FONDI

Un nome che viene a lontano, quello di Buaron. Pochissimi lo ricorderanno, ma aveva fatto capolino nelle storie di Mani Pulite, e soprattutto nel filone d’inchiesta sull’Alta velocità.

O meglio: nei filoni d’inchiesta dell’alta velocità, uno a Milano e uno a La Spezia.

Pierfrancesco Pacini Battaglia

Pierfrancesco Pacini Battaglia

In entrambi i filoni era finito anche Pierfrancesco Pacini Battaglia, l’uomo a un passo da Dio.

E’ molto istruttivo leggere un antico pezzo di Repubblica, 24 ottobre 1996, firmato da Wanda Valli. Si parte da un prestito da 80 milioni di lire fatto da Pacini Battaglia a Mauro Floriani – all’epoca marito di Alessandra Mussolini – ex capitano della Finanza poi passato alle dipendenze delle Ferrovie, era Necci, e nominato direttore amministrativo di Metropolis, una controllata delle FS.

Ma quando avviene il prestito? Chiarisce la Valli: quando Floriani “era ancora un investigatore del pool di Milano e seguiva le più importanti inchieste come quella sull’Eni-Enimont”.

Precisava la giornalista: “Ieri (23 ottobre 1996) Mauro Floriani si è presentato come al solito nel suo ufficio a Metropolis, dove è stato assunto, all’inizio di quest’anno, quando il presidente dell’ente era ancora Lorenzo Necci e l’amministratore delegato Daniel Buaron, un altro dei nomi comparsi nell’inchiesta spezzina, filone Ferrovie”.

Ecco un paio d’altri passaggi di quell’articolo: “Il professor Federico Stella lasciò la difesa di Lorenzo Necci perchè da un’intercettazione scoprì di essere stato minacciato di morte dal banchiere e dai suoi amici”.

A finire sotto un’auto pirata (pirata?) mentre andava in bicicletta è stato invece lo stesso Necci, morto in circostanze mai accertate dalla magistratura. Tutto archiviato in fretta e furia. Perchè? Paura che parlasse e vuotasse il sacco su affari miliardari & complicità?

Il secondo passaggio: “Da Brescia sono arrivati alcuni documenti che riguardano la denuncia presentata dal pool di Mani pulite di Milano contro l’avvocato Gaetano Pecorella, presidente dell’Unione Camere penali. Una denuncia motivata dal fatto che Pecorella aveva dichiarato che bisognava fare chiarezza sui conti bancari dei magistrati milanesi”.

Aveva toccato, Pecorella, un filo molto scoperto.

PUGNO DI FERRO O GUANTO DI VELLUTO?

Ma ci sarebbe stato da capire anche altro. Come mai il solitamente ferreo ed inflessibile pm Antonio Di Pietro nel gestire un teste da novanta come Pacini Battaglia si sciolse come neve al sole, trasformandosi in un tenero coniglietto? Era la statura dell’uomo a un passo da Dio che lo intimoriva? O giocava un ruolo il legale di Pacini Battaglia, ossia Giuseppe Lucibello, da tempo grande amico di Di Pietro? E quella famosa frase “mi ha sbancato” passata per “sbiancato” pronunciata dallo stesso Pacini Battaglia?

Antonio Di Pietro

Antonio Di Pietro

Tutte storie descritte per filo e per segno, mistero per mistero, nel volume “Corruzione ad Alta Velocità”, firmato nel 1999 da Ferdinando Imposimato e Sandro Provvisionato. La Voce ne ha scritto più volte, ma quel giallo non è mai stato chiarito, tombalmente archiviato da una sentenza che giudica i comportamenti di Di Pietro deontologicamente, professionalmente, moralmente censurabili, ma non perseguibili sotto il profilo penale.

E ancora. Non è arrivato il momento di chiarire, a un quarto di secolo di distanza, i rapporti tra quei nomi che ancora oggi sono abbondantemente alla ribalta e che tutti hanno ruotato intorno al grande affare dell’Alta Velocità e di quelle ricche Ferrovie?

Da ‘O ministro Paolo Cirino Pomicino e il suo uomo ombra, Vincenzo Maria Greco, tra i primi progettisti della Tav; al grande amico (di Pomicino) Caputi che dà per un periodo il meglio di sé con le iniziative nelle Grandi Stazioni, spesso e volentieri in compagnia della famiglia di Eugenio  Buontempo, a sua volta impegnato in affari con Pacini Battaglia; poi lo stesso Battaglia, che si divideva fra Tav e Eni-Enimont, con un occhio ai paradisi fiscali svizzeri; l’altro gran commis Ercole Incalza, altro amico e socio di  Pacini; Necci, del quale andrebbe in primis chiarita la fine; e il suo braccio destro di allora, Daniel Buaron, oggi sulla cresta dell’onda con la nuova super manna degli anni Duemila, i Fondi.

E’ ancora possibile sperare in una Giustizia che almeno su alcune storie e connection faccia luce?

 

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20 agosto 2017

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