Donne alla ribalta: il ko di Boschi e Raggi

Due donne occupano il proscenio dell’odierna rappresentazione che usurpa il titolo “politica” per evidente indegnità. Le prime attrici vengono da scuole di partito opposte. Maria Elena Boschi nasce politicamente in seno al Pd griffato con la R di Renzi, Virginia Raggi al primo posto del curriculum può esibire il “merito” della gavetta vissuta all’ombra dello studio Previti, che gli onesti ritengono distante molte miglia dal grillismo. Ma tant’è, il camaleontismo è uno dei cavalli di Troia per farsi largo nel conveniente mestiere della politica.

E’ toccato alla Boschi, in nome della simpatia, dell’ammirazione diffusa e forse anche dell’accertata competenza, molto probabilmente perché donna, e le donne non si picchiano neppure con un fiore, impartire l’estrema unzione alla legge che con lo ius soli sanerebbe il surreale rifiuto dell’Italia a riconoscere come suoi figli gli immigrati nati, cresciuti e ovviamente ormai italianizzati. La dichiarazione di impotenza politica che accompagna la decapitazione del provvedimento, “rinviato alla prossima legislatura”, ovvero sine die, sancisce, se ve ne fosse bisogno, che la guerra fratricida in corso nella sinistra (sinistra?) è allo scontro finale. Perché il Pd ha dovuto alzare la bandiera bianca della resa, lo capisce anche uno sbarbatello che snobba la politica. La resa è figlia della certezza che chiesta la fiducia, il “sì” sarebbe boicottato dalla destra, probabilmente dai 5Stelle, sicuramente da bersaniani & compagni, dai centristi (Alfano e la Lorenzin lo hanno lasciato intendere senza mezzi termini) e perfino da alcuni componenti della maggioranza. La saggezza della Finocchiaro mette il sigillo alla morte dello ius soli: “Anche con fiducia mancano 30 voti. Come dicono i medici per questi decessi “è stata morte per arresto cardiaco” e lo sciacallaggio leghista è tutto nel becero commento di Salvini: “Vittoria Lega e cittadini”, idiozia buona solo per i padani di Pontida.

Il secondo protagonismo servirebbe agli italiani per capire con chi hanno a che fare in un Paese che tollera l’idea, speriamo utopica, dei grillini di farsi governare da insipienti giovanotti pentastellati, che chiamati ad amministrare pochi comuni, detengono il record di guai giudiziari in percentuali bulgare. Maglia rosa (per rispetto al sesso) di questo manipolo di incapaci è l’incredibile sindaca della capitale, in verità simpatica perché sorride anche se le comunicano, com’è avvenuto, che è rinviata a giudizio per falso e perché aveva scelto il tetto del Campidoglio per conversazioni top secret con Salvatore Romeo, capo della segreteria.

Frugando nella memoria si possono recuperare i proclami del comico genovese e dei suoi rampanti seguaci, ghigliottinatori dei politici indagati. Da che pulpito veniva l’omelia: indagati e sottoposti a processo dei 5Stelle sono rimasti protervamente al loro posto e il grillismo ha spostato i limiti della decenza. Ora sostiene che a dimettersi è solo chi è condannato. La prossima tappa? Via solo dopo il terzo grado di giudizio. Per il momento il comico genovese (“sarò il papà di tutti”) esercita il ruolo di genitore con la Raggi. Esulta la sindaca e le fa eco il comico genovese per la sollecitazione della procura ad archiviare il reato di abuso d’ufficio. In due parole: il processo per falso sarebbe poca cosa. Provino allora a convincere quanti pensano che chi dice il falso non è proprio compatibile con il ruolo di sindaco e tanto meno di sindaca di Roma.

Sempre con il sorriso sulle labbra la Raggi pretende le scuse per sé e i romani. Ignora che oltre il sessanta per cento dei suoi amministrati la giudicano non idonea ad amministrare la città.

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